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Sull’Anpal servono scelte chiare

Che ne sarà dell’Anpal? La domanda sorge spontanea se si analizza attentamente il decreto Lavoro recentemente varato dal governo Meloni. Nel riassetto complessivo degli attori delle politiche attive del lavoro, all’Agenzia vengono di fatto sottratti l’organizzazione, la gestione e il monitoraggio delle iniziative finalizzate all’inserimento dei disoccupati nel mercato. E così l’organismo nato nel 2015, al quale già il governo Draghi aveva assestato un duro colpo riportando in vita la Direzione generale delle politiche attive del Ministero del Lavoro, rischia di trasformarsi in un doppione o, peggio, nell’ennesimo carrozzone.

Facciamo un salto indietro, precisamente al 2015. È in questo anno che il governo Renzi istituisce l’Anpal attribuendole sostanzialmente un compito: quello di mettere fine alla frammentazione delle politiche per il lavoro nelle varie regioni. L’obiettivo, però, non viene centrato perché, dopo poco più di un anno dall’approvazione del cosiddetto Jobs Act, l’Anpal viene di fatto demolita dall’esito del referendum costituzionale del 2016. La conferma della competenza concorrente Stato/Regioni in materia di politiche attive per il lavoro, infatti, contribuisce a smontare la riforma di Renzi.

L’Anpal vive poi un momento di gloria col primo governo Conte che all’Agenzia attribuisce un ruolo centrale nella gestione del Reddito di cittadinanza e nella gestione delle piattaforme informatiche necessarie per il migliore funzionamento dei centri per l’impiego. I risultato sono modesti e, alla fine, il governo Draghi ridimensiona l’Anpal commissariandola e riportando in vita la Direzione generale per le politiche attive che l’esecutivo Renzi aveva soppresso. Attenzione: “ridimensiona”, non “cancella”. Già, perché l’Anpal resta comunque in vita, sebbene non più come agenzia indipendente ma come struttura di coordinamento e raccordo sotto la vigilanza del Ministero.

Il paradosso è che sull’Anpal il governo Meloni non si pronuncia. Nel decreto recentemente varato non c’è un solo riferimento all’Agenzia, mentre si attribuisce un ruolo centrale all’Inps, alle agenzie per il lavoro e agli enti privati accreditati. Insomma, Palazzo Chigi preferisce non prendere alcuna decisione sull’Anpal, scegliendo così di mantenere in vita un organismo che avrebbe dovuto svolgere un ruolo centrale nella lotta alla disoccupazione e che si è successivamente trasformato in un “contenitore vuoto”, utile soltanto a saziare la fame di poltrone delle forze politiche soprattutto a livello locale.

Sarebbe il caso, invece, di compiere delle scelte. Se si vuole fare in modo che contribuisca al conseguimento dei risultati previsti dalla Missione 5 del Pnrr e garantisca effettivamente l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di politiche attive del lavoro (obiettivo di fondamentale importanza soprattutto per le aree depresse del Mezzogiorno), l’Anpal dev’essere dotato di strutture, risorse e personale. Altrimenti sarebbe più serio prevederne l’abolizione, rafforzando la cooperazione pubblico-privato e lasciando in vita la sola Direzione generale per le politiche attive presso il Ministero del Lavoro. Perché per vincere le guerra contro la disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiono, c’è bisogno di strategie e di visione, non di doppioni.

Raffaele Tovino è dg Anap

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