Con 759mila tonnellate di grano duro raccolto nel 2022, la produzione in Puglia è la più bassa da 10 anni a questa parte. È quanto afferma Cia – Agricoltori Italiani Puglia sulla base dei dati elaborati dal proprio osservatorio economico.
Nel 2016, annata record, la produzione aveva toccato 1.273.311 tonnellate. Mentre nel 2020 e nel 2021 non si erano superate le 950mila tonnellate.
Cia Puglia ha lanciato una campagna nazionale in favore dei produttori cerealicoli e dei consumatori italiani. Assieme alla produzione raccolta, sono calate anche le rese: nel 2016 si arrivò a 3,6 tonnellate per ettaro, nel 2022 invece la resa media per ettaro è stata di 2,2 tonnellate. Milioni di euro in fumo, redditività che decresce in modo inversamente proporzionale ai costi di produzione saliti alle stelle.
«Sono dati – commenta Gennaro Sicolo, presidente di Cia Puglia e vicepresidente nazionale di Cia Agricoltori Italiani – che porteremo all’attenzione del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, che interverrà al Durum Days 2023 in programma a Foggia il 17 maggio».
In Puglia, spiega Sicolo, «lo stato di sofferenza riguarda in modo diretto 6.899 aziende attive nella coltivazione dei cereali (escluso il riso): sono 1.113 nell’area metropolitana di Bari, 197 nella Bat, 85 nel Brindisino, 241 in provincia di Lecce, 313 nel Tarantino, e ben 4.950 in provincia di Foggia, vero e proprio granaio d’Italia, dove viene prodotta la maggior parte del prezioso cereale che indora il Tavoliere, la più grande pianura del Mezzogiorno d’Italia».
La petizione lanciata da Cia «sta riportando l’attenzione su uno dei pilastri della sovranità alimentare italiana e del made in Italy – dice ancora Sicolo -. Si parla tanto di farina di insetti, molti dicono sia quello il futuro, noi invece crediamo che la storia, il presente e l’avvenire del nostro Paese non possano prescindere da nuove forme di tutela dei produttori cerealicoli italiani, a garanzia di una filiera tracciata, con standard certi di sicurezza alimentare e qualità, per assicurare da un lato una equa distribuzione del valore e dei prezzi dal campo al pastificio fino al supermercato, dall’altro la certezza dei consumatori di pasta italiana che ciò con cui alimentano se stessi e i propri figli sia realmente pasta italiana, buona e salubre. Oggi non è così: viene impiegato sempre più grano estero, pasta e pane costano sempre di più, ai produttori italiani viene riconosciuto sempre meno».