I temi dell’economia circolare e dello sviluppo sostenibile sono divenuti, nel corso dell’ultimo triennio, di rilevante portata nazionale ed europea in virtù sia della spinta politica, sempre più attenta alla tutela del riciclo e della riduzione di emissioni di CO2, che delle necessità imposte dal mercato. Nello specifico, già solo analizzando il Pnrr, si nota come sia centrale il principio del Dnsh (Do no significant harm) che impone uno sviluppo economico che sia “capace di non arrecare un danno significativo all’ambiente” e persegua, al contempo, interventi che contribuiscano ad attuare l’Accordo di Parigi (inerente alla riduzione dell’emissione di gas a effetto serra) e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, in coerenza con il Green Deal europeo.
Il mercato, sin dall’inizio del 2021, ha mostrato la necessità di svincolarsi dalla produzione di tecnologia di consumo nuova, in virtù del c.d. shortage di prodotti per l’assenza di microchip fabbricati in Cina, che ha comportato altresì un aumento dei costi nella filiera di produzione della tecnologia fino al 30%. La suddetta necessità si è acuita durante la fase pandemica allorquando lo Smart working e la dad hanno obbligato indistintamente tutti all’utilizzo della tecnologia per il perseguimento delle finalità sociali (lavoro e istruzione), dando vita a un fenomeno sociale di disparità, manifestatasi nelle famiglie meno abbienti che ne hanno dovuto fare imprescindibile ricorso. Attualmente, però, nonostante l’uso di prodotti ricondizionati sia aumentato, la disciplina normativa non è riuscita a stare al passo con la velocità e le necessità del mercato.
Sul punto, il D. Lgs n. 206 del 6 settembre 2005 (c.d. Codice del Consumo) manifesta tutti i suoi limiti, e difatti, all’art 3 comma 1 lett. e), definisce come prodotto “qualsiasi prodotto destinato al consumatore […] indipendentemente dal fatto che sia nuovo, usato o rimesso a nuovo”; salvo, poi, escludere dall’ambito di applicazione della norma quei prodotti venduti come “da riparare o da rimettere a nuovo prima dell’utilizzazione”. In altri termini, ove il prodotto sia da ricondizionare, la normativa manca del tutto, mentre ove il prodotto sia già ricondizionato, la normativa è equiparata a quella dei prodotti nuovi, con eccezione di quanto previsto, in materia di garanzia legale, dall’art 134 del medesimo decreto, secondo cui è possibile limitare il termine di garanzia da 24 a 12 mesi, alla stregua del prodotto usato. Il vulnus normativo sopra evidenziato crea difficoltà ai venditori e ai consumatori in termini di confusione tra prodotto usato e ricondizionato e di difficoltà di approccio al business sostenibile. In tale contesto, si inseriscono gli interventi nazionali ed europei.
Si segnala, sul punto, un disegno di legge a firma del Mise, volto a dare definizione normativa all’attività di ricondizionamento e al prodotto ricondizionato, a regolamentarne i processi, nonché a istituire un registro unico nazionale degli enti ricondizionatori, oggi in attesa di esame in Parlamento. A livello europeo, invece, l’intervento è più cospicuo. La Commissione Europea, difatti, ha dato avvio, già nel 2019, al c.d. Green Deal, che si pone l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Tra le suddette iniziative strategiche, si segnalano alcune tra le più rilevanti proposte in materia di economia circolare: la proposta di regolamento Espr (Ecodesign for Sustainable Products Regulation), atto a stabilire un quadro per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili; la proposta di regolamento per le batterie, che si pone, tra gli altri, l’obiettivo di creare un passaporto europeo delle stesse e regolamentarne il particolare processo di smaltimento; l’iniziativa in materia di Ecodesign per smartphone e tablet, volta al perseguimento di una produzione più efficiente dal punto di vista energetico; la proposta di direttiva relativa all’aumento dei termini di garanzia legale dei prodotti (iniziativa Right to repair); la proposta di regolamento sul bilancio di sostenibilità, volto a rendere noto a terzi, in bilancio, gli impatti dell’attività di impresa in materia di sostenibilità e a rendicontare gli impegni e i risultati raggiunti. Non da ultimo, si segnala la necessità di normare il processo di cancellazione dati presenti sui prodotti usati che vengono sottoposti a processo di ricondizionamento.
Nell’attesa che i predetti interventi producano effetti, le società attive in materia di ricondizionamento possono, allo stato, ricorrere alla cancellazione certificata dei dati sensibili (c.d. sistema Adisa), e certificare i propri processi secondo il sistema R2, “certificazione per il riciclaggio responsabile delle apparecchiature elettroniche”.
Marco Lastilla è avvocato – Studio Lastilla&Cuomo