Un anno fa un’inedita coalizione composta dalla Lega e dai Radicali si era data appuntamento in Cassazione per depositare i quesiti di sei referendum sulla giustizia, «una dote al governo» li definì Matteo Salvini in vista della riforma del Csm, all’epoca ancora da mettere a punto.
Ora in una sola settimana, tutti i nodi andranno sciolti: il 12 giugno gli oltre 50 milioni di elettori italiani sono chiamati ad esprimersi su 5 di quei referendum – quello sulla responsabilità civile dei magistrati non è stato ammesso dalla Consulta – e il 15, quando l’esito sarà ormai certo, il Senato esaminerà la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario presentata dalla Guardasigilli Marta Cartabia e oggetto di una lunga trattativa.
Due percorsi paralleli che ora si incrociano.
Gli italiani sono chiamati ad esprimersi sulla legge Severino, le misure cautelari, la separazione delle carriere e le valutazioni dei magistrati, e le candidature per il Csm.
Questi ultimi tre quesiti si sovrappongono al pacchetto Cartabia. Non per questo secondo i promotori la consultazione è priva di significato. E il risultato cui si guarda è soprattutto l’affluenza: il referendum abrogativo per essere valido richiede la partecipazione della metà più uno degli aventi diritto al voto. La Lega si gioca molto in questa consultazione e negli ultimi giorni ha iniziato un battage contro quella che il segretario Matteo Salvini ha definito una “censura” mediatica. “Per rompere il muro di silenzio” il senatore leghista Roberto Calderoli ha annunciato che digiunerà «finché resterò in piedi»: una protesta non violenta sull’esempio di Marco Pannella. Nella tornata referendaria meno polarizzata degli ultimi anni, il centrodestra va alle urne diviso, con Forza Italia favorevole a tutti a cinque i quesiti, e Fratelli D’Italia decisa sul No ai quesiti sulla legge Severino e la custodia cautelare.
Il Movimento Cinque Stelle si è chiamato fuori, ritenendo «il Parlamento la sede per la riforma della Giustizia». «I cinque quesiti – secondo il presidente M5s Giuseppe Conte – sembrano una vendetta della politica nei confronti della magistratura». Più variegata la posizione del Pd, che ha lasciato libertà di coscienza. Il segretario Enrico Letta ha annunciato che andrà a votare ed esprimerà 5 no: «Penso che questo referendum sia uno strumento sbagliato e su alcuni degli argomenti si sta facendo la riforma nel Parlamento».