Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato un potenziamento dei controlli per fare fronte all’emergenza sicurezza in città. «Occorre chiamare i fenomeni con il loro nome per mettere in campo azioni di contrasto efficaci». A spiegarlo è il criminologo Domenico Mortellaro.
C’è davvero un’emergenza sicurezza in città?
«La mia risposta è sì, ma con delle precisazioni. Sicurezza reale e sicurezza percepita sono due cose diverse. A Bari c’è un problema oggettivo su entrambi i fronti, per una serie di fattori il cittadino medio sente la città ancora più insicura di quanto già non lo sia».
Quali sono e perché?
«Non può essere sicuro un capoluogo di circa 300mila abitanti all’interno del quale operano almeno 11 clan mafiosi diversi che, da un anno a questa parte, si stanno disinteressando di porre il normale argine alla criminalità comune. Prova ne sono le centinaia di spaccate in centro, la generale insicurezza che si percepisce a margine della movida (cosa mai successa fino a sette mesi fa) e il generale aumento di reati agiti da minori, le cosiddette baby gang, che spesso sono le “primavere” dove reclutano i clan. Alcuni di questi reati apparentemente non vengono perseguiti o comunque lo sono stati in modo inefficace, tutti fattori che aumentano la percezione di insicurezza. Le norme hanno un senso se sono accompagnate da una sanzione, e spesso in città non lo sono».
Le misure proposte dal ministro Piantedosi possono essere efficaci?
«Il problema ha un’origine ancora antecedente, che si può far risalire al ministro Salvini che ha operato nel precedente governo Giallo-Verde».
In che senso?
«Quando Salvini venne a Bari, a visitare il quartiere Libertà, disse che avrebbe perseguito gli “spacciatori neri” e le prostitute. Ma non sono queste due categorie a rappresentare il vero problema, sono le ultime ruote del carro. Non guardiamo invece ai reali giri che “contano” e di cui nessuno parla e che appartengono alla mafia vera e propria. Non usare i termini giusti impedisce anche di inquadrare correttamente i fenomeni e mettere in campo delle azioni mirate ed efficaci per contrastarli. È come utilizzare arco e frecce per affrontare una guerra combattuta con armi di ultima generazione. Inoltre, a Bari c’è un altro problema: esiste tutto un mondo di liberi professionisti che favoreggia e assiste le organizzazioni criminali, chiudendo un occhio sul loro operato».
Come si può intervenire allora in modo efficace sul tema della sicurezza?
«Abbiamo bisogno di un potenziamento dei mezzi a nostra disposizione. Esistono tutta una serie di tecnologie a servizio del mondo dell’investigazione e della repressione. Un esempio? I negozi del centro hanno la loro rete di telecamere, perché allora non fare in modo che, con un’ordinanza del Comune, emergano questi sistemi di video sorveglianza sommersi (non segnalati) dando alle loro immagini un valore giuridico? Perché se non c’è il cartello che le segnala c’è solo valore investigativo. In questo modo si potrebbe costruire una vera e propria rete di sorveglianza che permetterebbe di individuare più facilmente gli autori di questi reati. Una rete, dunque, non invasiva ma efficace in grado di risolvere il problema alla radice. È su questi temi che occorre ragionare a livello sistemico».