La carne coltivata a breve conquisterà i mercati internazionali. Le stime di crescita prevedono un valore di 214 milioni di dollari nel 2025 e 593 milioni di dollari nel 2032. Non tutti, però, accolgono con favore questa tecnologia. L’Unione Europea, infatti, pare vivere una situazione di stallo mentre l’Autorità Usa ha più volte ribadito la sicurezza di questa tipologia di prodotto alimentare. Giappone, Israele e Singapore, invece, stanno ampiamente sostenendo la ricerca nel settore. Dal punto di vista normativo, preliminarmente, è il caso di precisare che la carne coltivata rientra nella categoria dei “Novel Food”. La definizione di “Novel Food” ricomprende i prodotti alimentari che non sono stati consumati in modo significativo nell’Ue prima del 15 maggio 1997. La normativa, peraltro, cita espressamente gli alimenti costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali. Si tratta, in sostanza, di alimenti innovativi, prodotti utilizzando nuove tecnologie e processi di produzione. La commercializzazione di un novel food è rimessa a specifica autorizzazione. Lo scopo del processo autorizzatorio è garantire il più alto livello di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori. Per ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione nell’Ue, ogni novel food deve soddisfare requisiti specifici in termini di sicurezza, qualità nutrizionale e trasparenza per i consumatori.
In Italia, recentemente, il Governo ha presentato una proposta di legge che prevede il divieto di produzione e vendita di carne coltivata. La proposta intente introdurre anche sanzioni che vanno da 10.000 euro fino ad un massimo di 60.000. La motivazione principale dietro questa proposta è la presunta mancanza di prove scientifiche riguardanti la sicurezza e la sostenibilità della carne coltivata rispetto alla carne convenzionale.
Giuridicamente, però, qualche osservazione pare opportuna. In primo luogo, la legge proposta appare quantomeno prematura, dal momento che l’UE non ha ancora autorizzato la commercializzazione di carne coltivata. Il rischio, peraltro, è quello di entrare in contrasto con la futura normativa europea, creando incertezza giuridica e potenziali conflitti con gli obblighi internazionali a cui il nostro Paese deve attenersi.
In secondo luogo, nel contesto europeo è particolarmente complesso vietare l’importazione di un alimento legittimamente prodotto in altro stato membro. Il rischio, in questo caso, è quello di vietare la produzione made in Italy consentendo, però, l’importazione di carne coltivata proveniente da altri stati Ue. Ciò posto, tutto è perfettibile, specie quando si discute di un prodotto così innovativo che richiederebbe un corpo normativo all’altezza. Non mancano, infatti, i grattacapo legati, ad esempio, a tracciabilità e etichettatura del prodotto alimentare di origine animale, la cui attuale normativa potrebbe non essere compatibile con la carne coltivata. In conclusione, in attesa che l’Autorità europea competente si esprima, urge un modello normativo chiaro e compatibile con le esigenze dell’evoluzione tecnologica nel settore.
Elio Palumbieri è avvocato – Studio legale SafeGreen