Dimenticata dalle istituzioni che «non hanno avuto alcun ruolo» se non «nei primi momenti e durante il primo mese» quando «mi hanno chiamata, contattata. Poi, il nulla». Lo dichiara Giusy Musti, vedova di Giuseppe Tupputi, il barista 43enne ucciso a colpi di pistola l’11 aprile dello scorso anno nel suo bar a Barletta.
«L’affetto della città lo sento ma la presenza delle Istituzioni e di chi mi dovrebbe proteggere no, io non la sento», afferma la donna.
Per il delitto è stato rinviato a giudizio con le accuse di omicidio volontario, porto abusivo di arma da fuoco e violazione della sorveglianza speciale, Pasquale Rutigliano, 33enne con precedenti penali e reo confesso. Il processo inizierà il 12 maggio dinanzi alla Corte di assise di Trani.
La donna, madre di due bambini, aggiunge: «Io non sono una di quelle persone che si aggrappa, che vuole qualcosa, però essere dimenticata così non è bello e non è giusto perché» il presunto autore del reato «ha tutto a sua disposizione: consulenze, visite specialistiche e psicologiche. Invece noi, siamo rimasti sempre all’angolo senza che nessuno abbia mai alzato il telefono per dire “Giusy, come va, ti serve una mano?”. E questo mi fa rabbia perché io purtroppo ho dovuto scegliere se far seguire mia figlia o me dalla psicologa perché certe spese non me le posso permettere. E ho deciso di aiutare la mia bambina».
Per la famiglia del 43enne è stato «un anno difficile, vuoto che è passato velocemente tra tristezza e solitudine. Ricordo che quel pomeriggio maledetto non ho raggiunto al bar mio marito – racconta Giusy Musti – perché mia figlia aveva troppi compiti. Gli ho mandato un messaggio per avvisarlo, il solito messaggio a cui non ha risposto perché gli è stato inviato nell’esatto momento il suo cuore ha smesso di dibattere», conclude.