La Regione Puglia resisterà in giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale per salvare la cosiddetta norma “salva legislatura”, ribattezzata anche “comma anti-Decaro” approvato a dicembre scorso e osservato dal governo Meloni. Un trucco per prolungare di sei mesi il mandato regionale con l’incarico affidato al vicepresidente Piemontese se il presidente Emiliano dovesse dimettersi in anticipo nel 2024 per correre alle Europee. Ipotesi che costringerebbe il sindaco Decaro a restare fermo ai box per un anno prima di candidarsi alla successione di Emiliano.
La costituzione in giudizio dell’avvocatura regionale ha colto di sorpresa i consiglieri decariani (Paulicelli, Metallo e Pentassuglia) e lo stesso presidente Anci. In precedenza, infatti, i vertici regionali avevano assicurato a Palazzo Chigi una correzione della parte del comma anti-Decaro che prevede la presa d’atto delle dimissioni da parte del Consiglio regionale. Un termine indefinito, così come eccepito da Roma, che rischia di allungare senza limiti la legislatura per altri dieci mesi rispetto allo scioglimento anticipato in passato contenuto entro i tre mesi nei casi previsti dall’articolo 126 della Costituzione nei casi di morte, impedimento o dimissioni a seguito di arresto o vicende giudiziarie gravi.
L’incertezza lascerebbe senza guida politica l’assemblea regionale peraltro in assenza di un termine certo per indire nuove elezioni. Passaggi ritenuti incostituzionali dall’ala decariana del Consiglio regionale e dallo stesso sindaco di Bari. Di qui la richiesta di limitare la tempistica in tempi più ragionevoli, entro i tre mesi precedenti. L’avvocatura, però, ha ignorato l’appello ed è andata avanti per la sua strada in difesa del comma anti-Decaro così come approvato. Una miccia che riaccende il fuoco della polemica con il presidente Emiliano. In realtà a spingere sul salva-legislatura sono tutti i gruppi, di destra e di sinistra, decisi a salvare il posto e lo stipendio da 15mila euro mensili nel caso di scioglimento anticipato. Nessuno è disposto a rinunciare a dieci buste paga per favorire la candidatura di Decaro. A sostegno della tesi la circostanza che altre regioni, ad esempio il Veneto, hanno già adottato la stessa scelta della Puglia. Senza contare che l’eventuale censura e la cancellazione da parte dei giudici costituzionali (non prima di un anno) potrebbe arrivare a ridosso delle elezioni Europee determinando l’applicazione del comma anti-Decaro così com’è.
Ma c’è di più, l’avvocatura regionale ha preparato una memoria difensiva blindata per salvare il testo licenziato in aula sotto Natale col voto segreto. Secondo gli esperti la circostanza di dimissioni per altra candidatura rappresentano una fattispecie diversa dalle altre di per sé irrevocabili. «In questo caso – si legge nel parere – l’istituto delle dimissioni viene utilizzato per opportunità politica con il presidente che diventa arbitro indiscusso del futuro della maggioranza in assemblea consigliare e quindi in grado di determinarne (per sua sola volontà) l’eventuale scioglimento. Tale potere, riconosciuto dalla Carta costituzionale e recepito all’interno dello statuto regionale, si traduce nel brocardo latino “simul stabunt simul cadent” (“Insieme vengono eletti e insieme decadono”). Pertanto l’individuazione di un termine massimo per la presa d’atto e l’attribuzione al Consiglio regionale del potere di verifica delle dimissioni volontarie del presidente della Regione risponde all’esigenza di individuare una sede e un tempo entro il quale sia possibile provocare un eventuale ritiro delle dimissioni del presidente della Regione qualora le stesse siano state determinate da ragioni/pressioni di natura politica in seno alla stessa maggioranza di appartenenza ovvero esterne all’assemblea.
Non si esclude, quindi, che le dimissioni volontarie del presidente della Regione possano essere trattate in un tempo minore qualora, non determinate da ragioni di natura politica e riconducibili ad altre circostanze che, attesa la natura non rimediabile dell’evento, non consentano il ricorso al ripensamento (l’impedimento permanente o la morte). Tanto appare ragionevole atteso che in nessuno degli Statuti regionali di seconda generazione, tranne che in quello umbro, è previsto l’obbligo del presidente della Regione a motivare le dimissioni».