Se la parola è potere il professor Luciano Canfora ha senza dubbio un primato. Filologo classico, storico, saggista e accademico, il noto scrittore barese spegne ottanta candeline. Una vita dedicata ai libri e alla cultura in tutti i suoi orizzonti; una figura di spicco della società italiana, un protagonista dei dibattiti intellettuali più impegnativi. E visto che si parla del tempo che passa facciamo con lui un salto indietro, a quando aveva solo un anno; lì da dove forse tutto è iniziato.
Professore, penso all’eccidio del 28 luglio del 1943 in via Niccolò dell’Arca a Bari; una strage con venti morti e più di 40 feriti compiuta da un reparto del Regio Esercito nel corso di una manifestazione antifascista, nella feroce interpretazione del proclama governativo che proibiva qualsiasi raduno o protesta. Tra quei ragazzi, oltre al figlio di Tommaso Fiore, Graziano, che perse la vita, c’era suo padre ricordato da sempre come una vittima delle persecuzioni fasciste. Si salvò per miracolo, era di bianco vestito e con un paio di occhiali con la montatura dorata; fu ferito gravemente e trasportato su di un carretto di fortuna al pronto soccorso ubicato allora in via Crisanzio. Un episodio che ha segnato la sua vita di bambino. Quale eredità le ha lasciato suo padre Fabrizio Canfora, storico della filosofia e militante nel Partito d’Azione e poi dal ‘48 nel Partito Comunista italiano?
«Un modello consistente nel respingere la retorica facile, quella più diffusa. Il pensiero critico è di certo meno comodo ed è più faticoso. Lo stile di lavoro e le idee più profonde di mio padre erano poi in sintonia con quelle di mia madre, Rosa Cifarelli, anch’essa docente nel Liceo Quinto Orazio Flacco di Bari. Premesso che ogni generazione ha le sue risposte, quella struttura della scuola così rigida è andata via via perdendosi e di questo non ne sono affatto entusiasta. Quali frutti sapremo cavare? Ecco, mio padre mi ha trasmesso i valori della coerenza e spirito critico».
Una coerenza che si traduce anche in coraggio nell’esprimere le proprie le idee quindi, anche quando queste sono osteggiate. È rimasto fedele ai suoi ideali giovanili?
«Non è un atteggiamento fideistico ma un’adesione di carattere razionale, che va di pari passo con i cambiamenti di sostanza».
Un esempio?
«Tanti anni fa, forse nel ‘98 o ancor prima, partecipai ad incontro in Tv dove c’erano Gianfranco Fini, allora presidente di Alleanza Nazionale e accanto Armando Cossutta del Partito Comunista. Fini mi chiese se il Comunismo fosse ormai morto e io gli risposi che era nato molto tempo prima, dai tempi di Platone e che non si trattava di un fenomeno effimero ma di una scelta morale, durevole».
E a chi le contesta di essere legato al mondo sovietico e di essere stato un estremista dello stesso, cosa risponde?
«Di leggere i tanti libri che ho scritto come “La crisi dell’Est e il PCI” o i miei scritti sul “Manifesto”; con spirito critico ho evidenziato la crisi del partito sovietico».
Occupandoci della nostra attuale realtà politica, quale il suo giudizio?
«I contemporanei sono severi con i governanti e indulgenti con chi non c’è più; posso però dire che la qualità specifica del politico odierno non è al pari di altri del passato e penso anche allo stesso Moro o Craxi fino a Berlinguer».
A prescindere dalla bandiera di appartenenza?
«Si, c’era una levatura morale e competenza ben diversa. Oggi riscontro improvvisazione e di certo questo non fa bene al Paese».
Vista la sua esperienza di storico la domanda è d’obbligo: intravede una speranza per la fine della guerra in Ucraina?
«Molte cose ci sfuggono in questo conflitto e anche nei giornali più autorevoli si leggono opinioni diverse. Questa guerra, in piena Europa, è più grave rispetto a quella di lunga durata della Jugoslavia; ora, una di fronte all’altra, ci sono due grandi potenze: quella russa post-sovietica, ammaccata ma pur sempre forte e capitalistica e che rivendica le sue ragioni per reagire in modo brutale e dall’altra c’è una potenza molto più attrezzata e cioè l’Alleanza atlantica guidata dagli Stati Uniti d’America. Non è neanche del tutto vero che quest’ultima non sia direttamente coinvolta sul campo di battaglia perché a parte l’invio di una grande quantità di armi, ci sono anche i famosi consiglieri speciali come quelli inglesi, statunitensi o polacchi che dal 2014 si trovano lì in Ucraina. È una guerra strana e temo possa durare a lungo; il rischio atomico penso sia invece improbabile in quanto c’è la consapevolezza che non convenga a nessuno».
Una domanda lontana dal tema guerra: per lei che valore ha l’ironia?
«È la salvezza del genere umano».
Una curiosità: le piace il calcio, è tifoso di qualche squadra?
Il filologo sorride: «Mi sembra una malattia mentale; vorrei avere invece più tempo per leggere; ogni romanzo può essere una preziosa fonte storica. Leggere sempre di più per colmare la mia ignoranza».