La gara per la gestione del servizio di ristorazione scolastica, messa a bando dal Comune di Bari per la durata di 4 anni, per la quale primo in graduatoria è il raggruppamento temporaneo di imprese Cooperativa di solidarietà e lavoro scarl e Vivenda spa, va annullata perché illegittima. E, in un dettagliato ricorso al Tar, i legali della Ladisa Ristorazione (arrivata seconda), spiegano il perché.
Due sono fondamentalmente i punti su cui si centra il ricorso, firmato dai professori Aldo Loiodice, Bernardo Mattarella, e dagli avvocati Luigi d’Ambrosio, Michelangelo Pinto e Pasquale Procacci. Due sono i pilastri su cui si regge l’intera procedura comunale e che, in 12 pagine, i legali demoliscono.
Il primo è l’incapacità e inadeguatezza della commissione giudicatrice che, secondo quanto previsto dallo stesso bando, sarebbe dovuta essere composta da esperti. Al contrario, sostiene la Ladisa Ristorazione, i tre componenti, si sono dichiarati incapaci di valutare un elaborato presentato ad integrazione di un requisito, che è stato così eliminato, rendendo di fatto monca l’offerta stessa.
L’azienda barese aveva infatti dedicato una parte dell’offerta tecnica alla descrizione degli spazi che, in caso di aggiudicazione, sarebbero stati allestiti per le attività del Piano di pulizia (inserito nel capitolato): un’intera sezione di 20 pagine, che nelle intenzioni della Ladisa dovevano meglio specificare, descrivere, mappare i luoghi, ma che la Commissione aveva scelto di non esaminare “perché gli elaborati non facevano parte degli atti di gara”.
Ma c’è di più: dopo aver “confessato di non essere in grado di verificare – si legge nel ricorso – la fondatezza e l’attendibilità dell’analisi dei luoghi”, la commissione ha spiegato di averlo fatto “al fine di scongiurare il rischio potenziale di una non meglio circostanziata violazione dell’interesse degli altri operatori economici in gara”. Tutto ciò, a parere dei legali, dimostra “senza ombra di dubbio l’inadeguatezza tecnico-professionale della commissione giudicatrice, oltre che una grave mancanza di esperienza nel campo delle pubbliche gare”.
E questo violerebbe, aggiungono, uno degli elementi fondanti la gara: “la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico-economico – recita l’articolo 77 comma 1 del decreto legislativo 50 del 2016 – è affidata ad una commissione giudicatrice, composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto”.
Che così non fosse emerge anche dal fatto che uno dei tre componenti, riporta il ricorso, è un funzionario amministrativo, “dipendente pubblico appena da gennaio 2021, che non risulta possedere alcuna esperienza né in materia di gare di appalto in generale, né tantomeno nel settore oggetto del contratto da affidare, risultando addetto all’ufficio occupazioni di suolo pubblico”. Quanto alla motivazione addotta dalla commissione (per non pregiudicare l’interesse degli altri operatori), la Ladisa fa presente di essere stata la prima a essere valutata, “quindi la commissione non poteva sapere cosa avrebbero proposto gli altri concorrenti”. E, in ogni caso, “a questi ultimi non era certamente preclusa la possibilità di effettuare – aggiunge il ricorso – sopralluoghi nei locali comunali adibiti al servizio o di richiedere al Comune di rendere disponibili planimetrie o altre informazioni sullo stato dei luoghi”.
Non meno importante è il secondo punto del ricorso, relativo alla richiesta fatta dalla Ladisa di rimozione del Rup dal proprio incarico, dopo aver accertato (e confermato dallo stesso funzionario, in una nota del 31 gennaio scorso) che si era incontrato più volte, a gara ancora aperta, con i vertici del Rti arrivato provvisoriamente secondo. La motivazione data era una richiesta di chiarimenti tecnici che il Rup avrebbe fornito nei diversi incontri, ma dei quali non esiste alcuna traccia scritta.
Una condotta che, a parere della Ladisa viola le “elementari regole di trasparenza, imparzialità e buon andamento”, in una fase in cui “dovevano ancora svolgersi operazioni decisive per l’esito finale, quali la verifica di anomalia e quella dei requisiti autodichiarati in sede di gara, di stretta competenza dello stesso Rup”.
A suo sostegno il direttore della Ripartizione che, in una nota del 10 febbraio 2023, “sminuendo quanto accaduto, non lo ha ritenuto elemento concreto e circostanziato in base al quale imputare al Rup l’assunzione di comportamenti tali da compromettere il corretto e leale svolgimento della procedura di gara”.
Il comportamento del Rup, sostengono i legali, sarebbe stato in contrasto “con il codice di comportamento dei dipendenti pubblici e di quello dei dipendenti comunali in vigore al Comune di Bari, nonché obiettivamente violativo dei doveri generali di trasparenza e par condicio che ci si attende debbano essere garantiti da un funzionario pubblico durante l’espletamento di una gara ancora in via di definizione”.