Se sono attendibili le dichiarazioni del viceministro Maurizio Leo, il governo Meloni punterebbe a una ulteriore riduzione degli scaglioni di aliquota Irpef che quindi passerebbero da quattro a tre, semplificando ulteriormente il sistema dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Quando fu introdotta, nel 1974, dal ministro Bruno Visentini, l’Irpef contava ben 32 scaglioni di reddito.
Le riforme fiscali che in questo mezzo secolo si sono succedute hanno sempre puntato a semplificare con l’obiettivo di ridurre il carico fiscale. Così da 32, nel 1983 gli scaglioni furono ridotti a 9, poi a 7 nel 1989, e a 5 nel 1998, con la riforma del centro-sinistra impostata dal ministro Visco.
Nel 2003 il ministro di centro-destra Tremonti tentò di avvicinarsi a un meccanismo di flat tax (imposta ad aliquota unica), impostando l’imposta su due sole soglie di reddito, utilizzando poi le detrazioni e le deduzioni sul reddito imponibile per mantenere la progressività prevista dalla Costituzione. La riforma fu attuata solo per la parte delle deduzioni e delle detrazioni e per quasi venti anni, il sistema dell’Irpef è rimasto congelato sui cinque scaglioni, ristretto nei vincoli dell’enorme debito pubblico nazionale.
Il governo Draghi, liberato temporaneamente dal cappio del vincolo debitorio, nel novembre del 2021 aveva ottenuto una delega per riformare il sistema fiscale italiano e in particolare Irpef, con l’obiettivo di ridurre il cosiddetto cuneo fiscale che in Italia è di 5 punti superiore a quello degli altri Paesi europei e di 11 punti rispetto alla media del Paesi Ocse. Il governo Draghi è riuscito solo a ridurre gli scaglioni da 5 a 4.
Il nuovo governo dovrebbe ridurre ulteriormente le aliquote da 4 a 3, accorpando le due fasce con aliquote fissate oggi al 25% e al 35% con un prelievo al 28%. Sarebbe poi previsto un generale riordino delle agevolazioni fiscali. Ne sarebbe ovviamente avvantaggiato chi ha un reddito tra 28mila e 50mila, cioè la classe medio-alta, mentre chi oggi guadagna tra 15mila e 28mila euro, la grande platea del lavoro dipendente, pagherà il 2-3% in più.
Il governo dovrebbe anche modificare l’Ires, premiando con un’aliquota al 15% le imprese che investiranno in innovazione o assumeranno ex percettori di Reddito di cittadinanza, donne o ultra50enni. Infine, dovrebbe essere abolita l’odiata Irap. Sembra sparito ogni riferimento a una riforma del catasto che pure è un adempimento vincolante nell’ambito del Pnrr. La riforma punta a migliorare la condizione del ceto medio-alto, privilegiando i lavoratori autonomi, ma ridimensiona le misure di protezione dalla disoccupazione, varando il nuovo strumento più restrittivo denominato Mia: così le aree di sofferenza sociale, concentrate al Sud, sono penalizzate. La maggioranza che ha come obiettivo finale l’introduzione della flat tax rischia di disegnare un sistema iniquo, che privilegia la classe media-alta e ignora le frange più deboli della popolazione, inoccupati, giovani e ultra cinquantenni, lasciandoli sostanzialmente senza protezione. Gli economisti che sostengono la flat tax difendono anche l’implementazione di un sistema di basic income esteso. La ragione è semplice: con la flat tax si toglie ai poveri per dare ai ricchi ed è quindi opportuno correggere il sistema con un reddito minimo garantito. Ovviamente misure di imposte patrimoniali, le uniche capaci di ridurre le diseguaglianze, suonano come una bestemmia.
Rosario Patalano è economista
Bentornato,
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