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Capetoste. Donne normali in lotta per la parità

L’8 marzo, ormai lo sanno anche i muri, ricorre la Giornata Internazionale della Donna. E quella dell’Uomo? Tutti gli altri giorni, verrebbe da dire. Scherzi a parte (ma neanche poi tanto), noi dell’Edicola del Sud siamo dalla parte delle Donne, di quelle emancipate, di quelle oppresse come in Iran, di quelle che lottano e si danno da fare per essere prime e mai più seconde a nessuno. La questione in sé ha del rivoluzionario perché -ancora nel 2023- la nostra è evidentemente una società patriarcale dove non è per niente facile per una donna rivendicare gli stessi diritti e trattamenti di un uomo. Per ragionare di cose tangibili, si pensi solo alla disparità di stipendio tra l’una e l’altro; quasi che il sudore, il talento, la competenza abbiano un’altra declinazione. Maschio e femmina sono biologicamente diversi, per carità, ma questa ammissione non autorizza a fare differenze tra uomo e donna. A non immaginare una classe dirigente femminile riconosciuta. A sviare l’inclinazione di tante giovani donne verso professioni tipicamente maschili.

In ogni caso il nostro contributo, come leggerete, prende spunto da una donna del popolo per arrivare poi alle testimonianze di donne che hanno deciso di “correre coi lupi” attraverso lo studio e il sapere. Ma andiamo con ordine. Cominciamo con lo spiegare il titolo di testa: Capetoste. Abbiamo preso a prestito, portandolo al plurale, il titolo di un romanzo straordinario di un intellettuale e giornalista pugliese scomparso da poco: Beppe Lopez. Un ragazzo del Quartiere Libertà di Bari che, nel 2000, avviò la primavera pugliese in Letteratura con la pubblicazione, di Mondadori (poi ristampato da Besa), di “Capatosta”, la storia -come fosse una saga di Gabriel Garzia Marquez- di una donna di quel quartiere che osò sfidare convenzioni e assurdi luoghi comuni per vivere la vita a modo suo: ovvero scegliendo cosa dire e soprattutto cosa fare. Una donna libera, simbolo di un processo evolutivo che, partendo da situazioni reali e da vicende di persone effettivamente vissute, racconta di una certa maniera di stare al mondo senza paura, senza vergogna, senza sottomettersi a niente e nessuno, neanche al dettato di una società oscura e maschilista. Ecco, questa è la Capatosta di Beppe Lopez, non un’eroina dipinta a tinte forti, ma una donna normale e volitiva. Una “capatosta” che ha lasciato un segno, ha aperto una strada ad altre svariate generazioni di “capetoste”.

Il romanzo è ormai considerato un classico della letteratura meridionale e, per il suo contenuto, uno dei più interessanti della narrativa italiana contemporanea. Se non l’avete ancora fatto, leggetelo. Scoprirete così la protagonista, Iangiuasand’. Il prototipo di Donna che noi intendiamo festeggiare oggi: nè madonna, né strega, ma solo un essere umano con i suoi pregi ed i suoi difetti, che non ha più bisogno di lottare per evidenziare i primi e di mentire inutilmente per nascondere i secondi: una persona nor-ma-le! Che in altre parole vuol dire evitare la saturazione di modalità di rivendicazioni al femminile che spesso producono l’effetto contrario, che significa rinunciare a retoriche rappresentazioni che lasciano scadere nella mediocrità l’esigenza della parità di genere, che ha invece una importanza enorme. Capatosta è questo: una donna libera anche dalle convenzioni, mai ossessionata dalla forma e quasi sempre calata nel contesto con veracità e spontaneità. Capatosta è un modello di donna che all’apparenza sembra riproporre quel meridione senza riscatto condannato alla passività, ma dopo poche pagine la sua personalità ha il sopravvento e diventa una chirurga capace di rimuovere quel grumo, quel coagulo che non lascia scorrere la vita così come deve, in maniera fluida e naturale. Intensi, disperati, ma al tempo stesso trascinanti ed euforici sono i suoi gesti, le sue azioni quotidiane, così com’è la vita di noi donne ogni giorno, ogni santo giorno che ci troviamo a vivere su questa terra. La fiducia nel futuro è questo il sentimento che, instillato nelle giovani creature, maschi o femmine che siano, dobbiamo essere capaci di armonizzare, di ri-equilibrare in un rapporto smarrito e non più condiviso. In questa interminabile teoria di amore, pietà, gelosia, voracità, bramosia che è la Vita, dobbiamo imparare a dividerci i compiti, dobbiamo tornare a fare squadra, a fare con tenerezza il mestiere di uomo e di donna. La violenza fisica e psicologica, lo sfruttamento sul lavoro, a volte la complicità dei pubblici poteri, sono piaghe ancora sanguinolente che noi donne portiamo sul corpo e nella mente con riservatezza, con inutile vergogna. La miseria di alcuni uomini dovrà pur terminare un giorno, e quel giorno bisogna conquistarlo con forza e volontà. Per le donne il riscatto sociale è cominciato da tempo e ci porterà sicuramente verso un futuro di speranza e di equità. Il diritto all’esistenza, il riconoscimento di sé come soggetto, l’identità non mortificata alla fine prevarranno sull’estraneità, la subordinazione, la violenza. Dipende da noi, da tutte e da tutti noi, affinché, la nascita di una figlia femmina non sia più una maledizione, ma una grazia, una fortuna, una cosa straordinaria.

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