(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – “Ci dicono sempre ‘domani, domani, domani, ma sono passati nove giorni e ancora non ci dicono niente. Mia cognata e suo fratello potranno essere rimpatriati in Afghanistan? E quando? Siamo stanchi di dovere aspettare e di venire tutti i giorni qui, alla camera ardente, per sentirci rispondere sempre allo stesso modo”. Saif ha 28 anni e studia ingegneria biochimica all’Università di Londra. Vive in Inghilterra dal 2015. Nel naufragio ha perso la cognata, Mina Afghanzadeh, di 25 anni e il fratello della donna, Farhag Afghanzadeh di appena 16 anni. Le loro foto sono appese sul cancello della camera ardente del Palamilone di Crotone. Insieme a tante altre fotografie di vittime del naufragio.
“Cercava solo una vita serena con mio fratello – dice Saif in un ottimo inglese – Invece è morta poche decine di metri prima di arrivare sulla terraferma. E il fratello l’aveva accompagnata perché non voleva farla partire da sola, voleva proteggerla”. Saif chiede, come tanti altri suoi connazionali afghani, di potere trasferire le salme nel loro paese di origine. “Oggi abbiamo visto portare via diverse salme di pakistani e anche una tunisina – dice – invece i nostri connazionali non possono lasciare il Palamilone. Perché?”.
Oggi la Prefettura di Crotone ha avviato contatti per trovare un accordo con l’Ambasciata afghana per il rimpatrio delle vittime del naufragio di domenica 26 febbraio a Steccato di Cutro. Dopo l’arrivo dei talebani, le relazioni con quel paese sono molto più complicate. Sono 57 gli afghani che hanno perso la vita. Domani l’Aambasciata dell’Afghanistan dovrebbe inviare alla Prefettura di Crotone una nota con le varie opzioni di trasferimento.
“Abbiamo chiesto la possibilità di mettere le salme nelle celle frigorifere – dice ancora Saif – ma ancora una volta non ci hanno dato alcuna risposta. Sono trascorsi quasi dieci giorni e le salme saranno in pessime condizioni. Quanto dobbiamo aspettare ancora”. Sono decine i familiari arrivati da tutto il Nord Europa, ma anche dall’Australia, per potere rimpatriare i propri cari dopo averli identificati. “Siamo in tanti e tutti chiediamo la stessa cosa – dice Saif – Quando possiamo portare via i nostri cari? Anche perché tutti hanno lasciato una famiglia nei vari paesi di provenienza, chi i figli, chi il marito, chi il lavoro”.