Gli uomini della direzione investigativa antimafia di Lecce hanno confiscato ville, conti correnti e le aziende del settore ittico al re delle cozze Giuseppe Catapano, 53 anni, condannato in via definitiva nel 2002 per associazione mafiosa, estorsione e armi. Il provvedimento di primo grado è stato deciso dai giudici della prima sezione penale del tribunale di Lecce. Il valore della confisca è di oltre cinque milioni di euro.
Secondo i magistrati, Catapano in passato ha accumulato ricchezze in maniera illecita, facendo estorsioni nel settore ittico e poi ha reinvestito quelle risorse in aziende dello stesso settore, mezzi e proprietà intestandole a suoi familiari e prestanome. Sotto chiave sono così finite due ville, una a Castellaneta e una a Lido Azzurro, un’abitazione a Martina Franca, otto magazzini, un terreno, cinque auto, tre moto, conti correnti e soprattutto le quote di ben sei società di pesca, commercio all’ingrosso di frutti di mare e mitili e di altri prodotti alimentari. Un piccolo tesoro che nel 2019 era già stato sequestrato dalla Dia, su richiesta del pubblico ministero Stefano Milto De Nozza.
È stata la sproporzione tra il valore dei beni accumulati nel tempo da Catapano e lo stile di vita con i reali redditi, unita ai precedenti e alla pericolosità sociale, a far scattare l’allarme degli investigatori antimafia. Scrivono infatti i magistrati nella richiesta di confisca, «Catapano Giuseppe appare come un soggetto che ha sempre egemonicamente controllato, agendo con modalità di matrice spiccatamente mafiosa, tutte le attività ittiche dell’area di Taranto, imponendo indebitamente servizi di guardiania avverso cospicui pagamenti di somme di denaro a cadenza settimanale e ciò per un arco considerevole di tempo cosi da accumulare, nel corso degli anni, ingenti provviste economiche e dunque un complessivo illecito arricchimento che gli ha poi consentito di dare origine inizialmente a una società e poi alle altre». La prima azienda fu avviata proprio dopo un lungo periodo di detenzione grazie a risorse, scrivono i giudici, palesemente illecite, provenienti prima dalla guardiania mafiosa imposta nel settore delle cozze, poi al commercio abusivo di oloturie, con tanto di evasione fiscale.
L’operazione messa in piedi da Catapano, sempre secondo la prospettazione dei giudici, è stata poi quella di evitare controlli e sequestri intestando il suo impero ad amici, parenti e prestanome. Catapano fu coinvolto nel processo “Due Mari”, riguardante proprio le estorsioni commesse nel mondo ittico ai danni di aziende di pescatori e mitilicoltori di Mar Grande e Mar Piccolo da parte del gruppo criminale guidato dal cugino Aldo, finito in carcere nel 1990, da cui proprio Giuseppe avrebbe ereditato alcune attività.
Per gli investigatori della Dia, insomma, c’è una incongruenza tra i redditi ufficiali di Catapano nel periodo dal 2001 al 2017 e le effettive disponibilità economico-patrimoniali «tali da sostanziare una incoerenza patrimoniale soprattutto alla luce dell’avvio di attività commerciali nonché delle acquisizioni mobiliari ed immobiliari». Dopo il 2001, in sostanza, i redditi legittimi sarebbero talmente esigui da potersi ritenere appena sufficienti per il sostentamento del nucleo familiare e quindi del tutto inidonei a consentire l’attivazione di quei contesti aziendali e le acquisizioni patrimoniali. Dalla sentenza definitiva per mafia» scrivono i giudici, «si ricava l’enorme spessore criminale del Catapano, uomo aduso alla metodologia criminale, non disprezzando la minaccia armata e all’acquisizione illecita di ricchezze al di fuori di ogni schema lecito».
Insomma, secondo l’antimafia, Catapano è riuscito a creare una serie di aziende leader nel settore della pesca e della mitilicoltura solo grazie al denaro sporco accumulato negli anni. E anche grazie a un traffico illecito di quintali di oloturie, i cosiddetti “cetrioli di mare”, spedite in Cina, con guadagni per milioni di euro. Insieme ad altri tredici imputati, Giuseppe Catapano nel 2020 è stato mandato a processo, su richiesta del sostituto procuratore Mariano Bucoliero, con accuse mosse a vario titolo di associazione per delinquere, inquinamento ambientale, gestione di rifiuti non autorizzata e disastro ambientale permanente, per aver alterato l’ecosistema del litorale ionico, con incursioni anche sulle coste di Bari, Brindisi e Lecce. I legali di Capatano, avvocati Gaetano Vitale e Luigi Semeraro hanno già annunciato ricorso contro la confisca.