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Csel: “Sanatoria per gli enti locali che non hanno inviato certificazioni delle perdite gettito a causa del Covid”

(Adnkronos) - Scatta la sanatoria per gli enti locali che non hanno inviato in tempo le certificazioni che attestano l’entità delle perdite di gettito subite a causa della pandemia. A dispetto delle pesantissime sanzioni previste in caso di ritardo, sono 152 gli enti locali che non hanno ancora provveduto a trasmettere alla Ragioneria generale dello…

(Adnkronos) – Scatta la sanatoria per gli enti locali che non hanno inviato in tempo le certificazioni che attestano l’entità delle perdite di gettito subite a causa della pandemia. A dispetto delle pesantissime sanzioni previste in caso di ritardo, sono 152 gli enti locali che non hanno ancora provveduto a trasmettere alla Ragioneria generale dello Stato le certificazioni finalizzate a monitorare se i fondi compensativi assegnati dallo Stato attraverso il cosiddetto ‘Fondone’ erano congrui rispetto alle effettive necessità dei Comuni coinvolti. In 109 casi i ritardi sono riferiti al 2020, e la scadenza mancata è dunque risalente al 31 maggio 2021, vale a dire quasi due anni fa. A rivelarlo un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali (Csel), per Adnkronos, basata sui dati diffusi dalla Ragioneria generale dello Stato  

Ma quali erano le sanzioni previste per gli enti inadempienti che sono state cancellate con un “colpo di spugna”, sottolinea Csel, inserito nella legge di conversione del Milleproroghe 2023? Per eventuali ritardi erano previste riduzioni ingentissime dei trasferimenti che gli enti percepiscono a vario titolo dallo Stato in maniera tale da restituire l’equivalente in parte o del tutto le risorse del ‘Fondone’ già incamerate.  

Nello specifico, erano stati fissati diversi scaglioni, con sanzioni incrementali a seconda dell’entità del ritardo: una riduzione pari all’80% delle risorse compensative incassate nel caso di ritardi non superiori a un mese; del 90% in caso di ritardi compresi tra uno e due mesi e del 100% in caso di ritardi superiori a due mesi. Gli enti locali avevano l’onore di inviare le certificazioni Covid-19 entro il 31 maggio successivo all’anno a cui erano riferiti; quindi, 31 maggio 2021 per quanto riguarda il 2020 e 31 maggio 2022 per l’anno successivo.  

Tra le voci da quantificare c’erano i costi sostenuti per comprare i dispositivi utilizzati per garantire il distanziamento sociale e per sanificare gli ambienti, quelli legati alle corse aggiuntive nel servizio di trasporto urbano ed extra-urbano che sono state necessarie per garantire la riapertura delle scuole senza costringere i ragazzi a spostarsi in autobus e metro affollate. E, ancora, il minor gettito derivante dai tributi, come quelli per l’utilizzo del suolo pubblico, per i quali sono state disposte esenzioni a sostegno dei commercianti.  

Un approccio, quelle delle sanzioni fissate nella prima ora, tutt’altro che ‘soft’ e che, a seconda delle dimensioni dell’ente, poteva costare anche centinaia di migliaia di euro a chi non si fosse attivato tempestivamente per rendicontare tutti quegli extra costi e quelle mancate entrate correlate allo sconvolgimento generato dalla pandemia. Una rigidità che il governo ha però deciso di abbandonare e che quindi risparmierà ai 248 enti coinvolti pesanti sanzioni.  

Nello specifico, sono già state annullate le sanzioni in cui sarebbero dovute incorrere le 33 amministrazioni (20 Comuni, 4 Comunità montane e 9 Unioni di Comuni) che non hanno inviato in tempo le certificazioni 2020 ma l’hanno però trasmessa entro il 27 febbraio scorso e per le 63 amministrazioni (54 Comuni, 3 Comunità montane e 6 Unioni di Comuni) che erano inadempienti all’invio 2021 ma hanno poi provveduto entro il 27 febbraio 2023. Ai restanti 152 enti che sono tuttora inadempienti, è stata data una ulteriore possibilità di uscirne indenni: provvedere a inviare le certificazioni mancanti entro il 15 marzo 2023.  

Ma quali sono le amministrazioni locali che mancano ancora all’appello? L’elaborazione di Csel, basata sui dati diffusi dalla Ragioneria generale dello Stato il 28 febbraio scorso, ha messo in evidenza come la tipologia di enti più rappresentata in questo drappello di amministrazioni ritardatarie siano le Unioni di Comuni, che rappresentano quasi il 50% del totale: 72 su 152. Molto rappresentata anche la categoria delle Comunità montane, che toccano quota 50 se vi si include anche la comunità collinare inclusa nell’elenco. Trenta i Comuni, tutti di piccole dimensioni, che completano il quadro. 

A livello di distribuzione territoriale, gli enti che non hanno ancora inviato le certificazioni in questione sono concentrati, per poco meno della metà, nel Sud del Paese (49%), per il 36% nelle regioni del Nord e per il 16% in quelle del Centro. Nello specifico, la maglia nera va alla Campania con 20 enti coinvolti, seguita dal Piemonte (18 enti) e da Lazio e Lombardia (16 amministrazioni ciascuna). Gli enti sardi e liguri a rischio sanzione sono undici, nove quelli abruzzesi, otto quelli calabresi, siciliani e veneti, sette quelli molisani, sei quelli lucani. Chiudono il cerchio l’Umbria (5 amministrazioni ritardatarie), le Marche (due enti), la Toscana e l’Emilia-Romagna, ferme a quota uno.  

Spiccano per virtuosità le tre regioni a Statuto speciale del Nord Italia: Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta, che non hanno alcuna amministrazione ricompresa nell’elenco degli enti inadempienti. 

Ma quanto è ‘costato’ il Covid-19 ai Comuni? Una precedente elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata su dati della Ragioneria generale dello Stato, aveva quantificato in oltre un miliardo e mezzo l’insieme delle spese aggiuntive e mancate entrate subite dalle amministrazioni locali italiane nel 2021 a causa dell’emergenza pandemica. Erano anche emerse grandi differenze tra gli enti che spaziavano da quelli che avevano chiuso con saldi negativi (al netto dei ristori) anche di 174,3 milioni (era il caso di Milano) a quelli (2.226 Comuni) in cui il saldo finale era invece risultato addirittura negativo.  

Questo perché, chiarisce Csel, nonostante le ingenti spese straordinarie e mancate entrate tributarie, la pandemia ha innescato anche alcuni importanti risparmi di spesa legati, ad esempio, alla sospensione di alcuni servizi come le mense scolastiche, allo stop di alcune manutenzioni ordinarie, ai risparmi sulle utenze legate al personale che lavorava da remoto, ecc. Ci sono quindi stati diversi capitoli di spesa significativamente ridimensionati che, in circa un caso su quattro, ha generato risparmi importanti che erano stati sottostimati in sede di assegnazione delle risorse del ‘Fondone’. 

Sempre stando alla elaborazione di Centro Studi Enti Locali basata sulle certificazioni della perdita di gettito Covid trasmesse dagli enti locali al Mef, facendo una proiezione delle ‘perdite pro-capite’ aggregate a livello provinciale, emerge che nel 2020 i più penalizzati in assoluto sono stati i cittadini della provincia di Milano, sui quali la somma delle minori entrate e delle maggiori spese per la gestione delle emergenze, al netto dei risparmi di spesa e dei ristori specifici, ha portato a un saldo negativo pari a 137 euro a testa. Di poco inferiore il risultato delle province di Venezia (131 euro), Siena (98,97), Bolzano (91,03) e Imperia (83,23). Nel 2021 le perdite pro-capite nella provincia di Venezia hanno superato quelle dei milanesi, segnando nel primo caso -92,61 euro a testa e nel secondo -66,43 euro. Seguono Imperia (-64,44), Siena (-59,43) e Pisa (-58,70). Il saldo è risultato invece positivo nel nisseno (+55,18 euro pro-capite), in provincia di Vibo Valentia (+14,93 euro), Catania (+13,78 euro) e in altre sei province: Sud Sardegna (+12,51), Sassari (+8,41), Foggia (+7,47), Isernia (+7,32), Crotone (+5,34) e Reggio Calabria (+4,64).  

 

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