Certo, potrebbe sembrare strano affermare che un processo di attuazione costituzionale (nel caso specifico: quello che interessa l’articolo 116, terzo comma della Costituzione, improvvidamente modificato agli inizi del nuovo millennio, ossia in un’epoca in cui tutta la politica italiana sembrava pendere dai diktat della Lega allora bossiana, che veleggiava col vento in poppa, era corteggiata da destra e da sinistra e determinava le sorti dei governi) si snodi lungo un procedimento e approdi a un esito incostituzionale.
Eppure il testo che sta per uscire per i tipi dell’Editoriale Scientifica di Napoli, curato da un gruppo di giuristi ed economisti campani che sono coordinati da Sandro Staiano, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’università Federico II, dove insegna anche diritto costituzionale, afferma precisamente questo. Va del resto detto che anche il Coordinamento per la democrazia costituzionale, presieduto dal professore Massimo Villone, già più volte senatore e anch’egli costituzionalista emerito sempre dello stesso Ateneo, pensa allo stesso modo e ha lanciato un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare, sul quale si stanno raccogliendo le firme dei cittadini, per riscrivere parti decisive del titolo V in senso solidaristico.
Entrambe le iniziative hanno dalla loro parte solidi argomenti a sostegno, che confluiscono sostanzialmente nella critica al ruolo del tutto squilibrato, nel senso dell’ipertrofia, che gioca in questo processo l’Esecutivo: le singole intese tra lo Stato e le Regioni che vogliono strappargli più competenze ― e dunque sottrarre più soldi al bilancio nazionale per finanziarne l’esercizio ― sono definite nei contenuti, dal disegno di legge del ministro del settore Calderoli, in stanze ovattate, sottratte allo sguardo penetrante dell’opinione pubblica e, per essa e fuori di metafora, al potere emendativo delle Camere, che è previsto che possano solo approvarle o respingerle in blocco, senza discussione di merito.
I «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (in modo omogeneo, si sottintende) sarebbero stabiliti con decreti del Presidente del consiglio, dunque nuovamente saltando a piè pari la legge statale, alla quale spetterebbe invece determinarli (articolo 117, lettera m della Costituzione). Soprattutto, il disegno di regionalismo che traspare da queste e altre “perle” è dissociativo e non cooperativo e unitaristico-solidale, come l’intera Costituzione continua al contrario a volere (articolo 5), sicché le regioni del Nord che lo perseguono sarebbero beneficate da uno schizofrenico Robin Hood che però toglierebbe ai poveri per arricchire ancora di più i già ricchi. La logica dell’articolo 119 della Costituzione sarebbe rovesciata e non a caso la bozza di copertina di quel rapporto che sta circolando mostra l’immagine della penisola appesa a testa in giù.
Salvatore Prisco è costituzionalista
Bentornato,
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