La scoperta è di quelle sensazionali. Per il presente e anche per il futuro. Soprattutto per due motivi. Da un lato ha fatto scoprire un nuovo tesoro, nascosto nelle foreste, la lignina che è uno dei biopolimeri più abbondanti sulla Terra, prodotto dalle piante. E potrebbe essere la chiave per il transistor del futuro e segnare una sorta di contrappasso, visto che anche la maggior parte della lignina prodotta ogni anno – circa 80 milioni di tonnellate – viene bruciata per generare energia. Dall’altro perché una mano consistente alla scoperta, alla ricerca effettuata e alla pubblicazione successiva c’è un numero importante di donne. Tra cui anche una pugliese: Alessandra Operamolla, 45 anni, nata a Bari ma per oltre un ventennio ad Acquaviva delle Fonti. Una scienziata dal curriculum da far paura e che dal 2019 è professoressa associata di Chimica organica all’Università di Pisa. Da dove arriva questa interessantissima scoperta dal chiaro profumo internazionale.
Alessandra, in cosa consiste il lavoro che avete fatto?
«Come equipe (formata da cinque persone, ndr) abbiamo preso in esame due tipi di lignina, provenienti dallo stesso processo produttivo, ma purificati attraverso una diversa sequenza di operazioni e ci siamo resi conto che, quanto più severo era il procedimento subito dal materiale, tanto più degradata era la sua struttura, con l’introduzione di cariche ioniche che interferivano con il funzionamento del dispositivo. Il metodo che viene adoperato per estrarla, dunque, influisce notevolmente sulle sue performance future. Anche per questo, allora, visto che la lignina che abbiamo utilizzato era abbastanza sensibile all’acqua, stiamo svolgendo ulteriori ricerche per metterne a punto una che sia il più performante possibile».
Cosa vuol dire la scoperta in materia di sostenibilità ambientale?
«Significherebbe tantissimo, perché la lignina è considerata uno scarto dell’industria cartiera e non viene valorizzata come dovrebbe. L’uso della lignina permette non solo di abbattere i costi di produzione, ma anche di ottenere dispositivi più sostenibili e meno impattanti per l’ambiente. Il suo impiego nella produzione di transistor potrebbe essere, invece, la prima soluzione concreta ad uno spreco di risorse non più accettabile anche perché ha numerosi vantaggi, come il fatto che non sia necessario sintetizzarla, perché viene sintetizzata dalle piante e si utilizzerebbe quella derivante dai processi di lavorazione industriale. Utilizzarla per i transistor avrebbe costi molto contenuti. Poi è chiaro che devono essere le aziende stesse a investire su questo nuovo prodotto e sarà questo a determinare successo e successiva svolta ambientale».
Che ruolo hanno le donne nella ricerca scientifica?
«All’inizio c’è da dire che sono tantissime le donne che si buttano nei dottorati di ricerca perché appassionatissime, poi però obiettivamente succede che, essendo veramente elevata la mole di lavoro da svolgere, molte di loro si defilano perché diventa difficile conciliarla con la vita lavorativa».
Altri ostacoli?
«Sinceramente io non sono mai stata ostacolata o vittima di pregiudizi così come tutte le colleghe con cui lavoro costantemente tutti i giorni. Detto questo, le donne hanno sicuramente un ruolo propositivo alla ricerca scientifica in generale».