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Ex Ilva, stop all’aumento di capitale: doveva riportare il siderurgico in mano pubblica

È stata sottoscritto ieri mattina il nuovo accordo tra Acciaierie d’Italia e Ilva in amministrazione straordinaria che rinvia di due anni il passaggio in mano pubblica della governance dello stabilimento. Entro il 31 maggio, infatti, doveva avvenire l’aumento di capitale in Acciaierie d’Italia da parte di Invitalia, con il conseguente incremento delle quote in mano…

È stata sottoscritto ieri mattina il nuovo accordo tra Acciaierie d’Italia e Ilva in amministrazione straordinaria che rinvia di due anni il passaggio in mano pubblica della governance dello stabilimento. Entro il 31 maggio, infatti, doveva avvenire l’aumento di capitale in Acciaierie d’Italia da parte di Invitalia, con il conseguente incremento delle quote in mano allo Stato, fino al 60%. Il mancato completamento della totalità delle prescrizioni previste dall’Aia, però, ha reso complicato il dissequestro degli impianti posti sotto sigillo nel 2012 dalla magistratura, nell’ambito dell’inchiesta che ha portato al processo Ambiente Svenduto. Il dissequestro era una delle condizioni che dovevano verificarsi affinché ci fosse l’aumento di capitale. Ci avevano provato i commissari straordinari dell’ex Ilva ad ottenerlo. È di fine marzo la loro presentazione dell’istanza al tribunale. Secondo i commissari, i lavori previsti dall’Aia, sono stati completati all’88%. Gli interventi rimanenti non modificherebbero, a loro dire (ma non della Corte d’Assise), la performance ambientale della fabbrica. Per questo auspicavano il dissequestro in tempo per rispettare la scadenza del 31 maggio. Ora tutto viene rinviato di due anni, rendendo complicata la sostenibilità economica del siderurgico.

Le iniziative del governo e la cartolarizzazione per 1,5 miliardi

Prevedendo le difficoltà legate al mancato dissequestro, negli scorsi mesi il governo ha provveduto a garantire sostegno ad Acciaierie d’Italia, mettendo a disposizione 150 milioni del fondo Sace e spostando alle opere di decarbonizzazione 150 milioni, sequestrati al gruppo Riva, originariamente destinati alle bonifiche. È un’altra, però, la manovra con la quale Acciaierie d’Italia punta a mettere al riparo la cassa: negli scorsi mesi è stato sottoscritto un accordo di cartolarizzazione con la banca Morgan Stanley. Una operazione che porterà liquidità fino a 1,5 miliardi di euro.

Conferma alla guida di Acciaierie d’Italia di Bernabé e Morselli

L’accordo firmato ieri a Milano, non solo proroga il rapporto tra l’ex Ilva e Acciaierie d’Italia ma conferma anche la governance dell’azienda. Saranno sempre Franco Bernabé, nel ruolo di presidente, e Lucia Morselli, come amministratrice delegata, a guidare la società.

Morselli: «Non cambiano gli obiettivi di produzione»

L’obiettivo di produrre 5,7 milioni di tonnellate d’acciaio entro l’anno resta. ‘L’ha affermato con chiarezza l’ad Lucia Morselli. «Dopo aver firmato questo accordo – ha sottolineato – si semplificherà molto. Ci sono finanziamenti con copertura Sace e di questo vorrei ringraziare il ministro dello Sviluppo economico e del Tesoro che sono stati grandissimi partner in questa operazione. I lavoratori? Avranno una soluzione che dovremo gestire insieme ai commissari, ai sindacati e al governo».

Perché due anni di rinvio

Il rinvio a maggio 2024 dell’aumento di capitale che riporterà a guida pubblica il più grande siderurgico d’Europa, pone nuovi scenari di incertezza sul futuro dello stabilimento. Questo perché limiterà nel breve termine l’intervento pubblico che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe orientarsi verso una graduale decarbonizzazione della produzione. Investimenti importanti e dal non scontato ritorno economico, tant’è che nessuna azienda privata si è mai resa disponibile a convertire interamente lo stabilimento con i forni elettrici. Il punto, però, è che senza il dissequestro non può avvenire l’aumento di capitale ed il cambio nella governance. Affinché ciò avvenga vanno ultimati i lavori previsti dall’Aia e il cronoprogramma prevede la loro ultimazione nel 2023. Ecco perché bisognerà aspettare, non senza preoccupazione per i lavoratori, che continuano a vivere nell’incertezza, e per la città che attende da anni una fabbrica che non impatti sulla salute pubblica.

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