La crisi mostra le proprie cicatrici nel mondo del commercio. I dati diffusi ieri da Confesercenti fotografano tutte le difficoltà della vendita al dettaglio, con due imprese che in media abbassano la saracinesca ogni ora. Questo è il dato nazionale che, però, nasconde le differenze territoriali, con le aree del Paese più sviluppate a mostrare l’impatto maggiore.
Il saldo tra attività aperte e chiuse in Puglia arriva a -1.216, collocandola all’ottavo posto tra le regioni italiane. È la Campania a riportare il risultato peggiore, con un saldo negativo di -2.707 negozi; seguono, a stretta distanza, il Lazio (-2.215) e la Sicilia (-2.142). Perdite rilevanti anche in Lombardia (-2.123), Piemonte (-1.683), Toscana (-1.479), ed Emilia-Romagna (-1.253). In termini relativi, però, la perdita peggiore è quella registrata dalle Marche, dove il calo percentuale delle imprese del commercio attive, rispetto al 2021, è del -8,8%: quasi una su dieci. Seguono Friuli-Venezia Giulia (-4,7%) e Molise (-4,4%). Tra chiusure e mancate aperture, il numero di negozi di vicinato al servizio della comunità è calato, rispetto al 2012, del -14,3% circa. Nelle province autonome di Trento e Bolzano, ormai, ci sono solo 6,9 imprese del commercio ogni mille abitanti; in Friuli-Venezia Giulia 7,8, e in Lombardia 8,4. Nelle regioni del Sud il tessuto del commercio resiste un po’ di più, in particolare in Campania (19,7 imprese ogni mille abitanti), Calabria (18,7) e Sicilia e Puglia (entrambe con 15,1).
«La ripartenza post-pandemia non è riuscita a infondere nuovo slancio alle piccole imprese del commercio al dettaglio. Aprire una nuova attività di commercio di vicinato, in un mercato crescente dominato da grandi gruppi e giganti dell’online, è sempre più difficile: ed i neoimprenditori, semplicemente, rinunciano, come evidente dal calo delle nuove aperture, inferiore addirittura all’anno della pandemia – spiega Patrizia De Luise, Presidente di Confesercenti -. A rischio c’è il pluralismo del sistema distributivo e il servizio ai cittadini: proprio l’anno della pandemia ha dimostrato il valore della rete dei piccoli negozi – dagli alimentari alle edicole – per la popolazione. Occorre aiutare le piccole superfici di vendita a inserirsi nel mercato e a restarci. Innanzitutto, puntando di più sulle politiche attive, a partire dalla formazione imprenditoriale e dal tutoraggio delle start-up da parte delle associazioni di categoria. Ma servirebbe una spinta anche sul piano fiscale, con un regime agevolato per le attività di vicinato».
Guardando al dato nazionale, nel 2022 sono nate soltanto 22.608 nuove attività, il 20,3% in meno del 2021. Un numero del tutto insufficiente a compensare le oltre 43mila imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca, e che fa chiudere l’anno con un bilancio negativo per oltre 20mila unità, per una media di oltre due negozi spariti ogni ora. È quanto emerge dalle elaborazioni condotte da Confesercenti sui dati resi disponibili dalle fonti camerali. «Mentre il numero di chiusure è in linea con quello rilevato negli anni pre-pandemia – fanno notare da Confesercenti – il dato delle aperture del 2022 è il più basso degli ultimi dieci anni, inferiore del -47,9% non solo al valore del 2012 – quando, nonostante la crisi, avevano aperto oltre 43mila attività del commercio – ma anche rispetto al 2020, anno della Covid e del lockdown, che comunque aveva registrato l’arrivo sul mercato di oltre 25mila imprese del commercio; nel 2019, le aperture erano state 29mila. Il calo delle nuove aperture è rilevante soprattutto in Sardegna (-33,2% rispetto al 2021), Piemonte (-29,3%) e Umbria (-27,3%)».