(Adnkronos) – L’appello accorato del presidente ucraino Volodymyr Zelensky all’unità, a non dividersi sul sesto pacchetto europeo di sanzioni ma ad adottarlo in fretta, per ora non sembra fare breccia nel Consiglio europeo, riunito in seduta straordinaria a Bruxelles. Ungheria e Repubblica Ceca tengono in ostaggio il dossier, bloccando le nuove misure di cui si discute da inizio maggio per depotenziare Mosca. A tenere banco, naturalmente, è l’embargo al petrolio russo, che vede in particolare Viktor Orban, ma in buona compagnia del ceco Petr Fiala, sugli scudi.
Si discute di un embargo differenziato, con esenzioni per l’oleodotto Druzhba, concedendo più tempo a Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Ma il ‘tubo’ in cui transita l’oro nero si biforca, con il ‘braccio’ nord che serve anche Germania e Polonia. E che potrebbero finire per beneficiare di un embargo su due tempi, semmai si dovesse decidere di tenere aperti entrambi i rubinetti del Druzhba.
Fonti di primo livello spiegano all’Adnkronos che la Polonia avrebbe fatto un passo indietro nel corso della discussione, dichiarando disposta ad accettare un’eccezione per il solo Druzhba meridionale -dunque quello che serve Ungheria e Repubblica Ceca oltre alla Slovacchia – pur di giungere a una soluzione che possa dare respiro a Kiev. La Germania si sarebbe limitata a rimarcare la necessità di lavorare sull’indipendenza dal petrolio di Mosca. Alcuni Paesi avrebbero sollevato il rischio di squilibri, tra questi -oltre al Belgio e il Lussemburgo- anche l’Italia. “Dobbiamo mantenere unità sulle sanzioni – ha infatti esortato il premier Mario Draghi nel corso del vertice – L’Italia è d’accordo sul pacchetto, purché non ci siano squilibri tra gli Stati membri”.