Assistenza, prevenzione, vicinanza: l’associazione “Agata – Volontari contro il cancro” è questo, ma anche molto altro. Amore, soprattutto, che è una parola che in associazione ricorre spesso. Deve il suo nome a Sant’Agata, protettrice dei malati oncologici e in particolare delle donne con tumore al seno. Domani è il sesto anniversario dalla sua nascita e oggi, in occasione della Giornata Mondiale contro il cancro, la neo-presidentessa Rosa Gentile racconta di come quest’anno l’attenzione sia puntata sull’annullamento dei divari: «In ambito di malattie, non esistono discriminazioni. Da noi, chiunque trova assistenza». Dal trasporto dei pazienti oncologici nelle strutture adeguate, in un territorio complesso come quello lucano, alla fornitura di parrucche, sempre con attenzione ai familiari e alla prevenzione, a rivolgersi ad “Agata” sono in tanti, anche da fuori regione. Nata a Marconia (Mt) nel 2017 da un’idea di Mirna Mastronardi e Lucia Viggiano, “Agata” oggi ha sedi a Pisticci, Rionero in Vulture e Rotondella e si basa interamente sul contributo volontario dei propri associati, riempiendo i vuoti lasciati dalla mancanza di una strutturazione dei servizi.
Com’è cresciuta “Agata” in questi sei anni?
«Cogliendo le difficoltàche le fondatrici dell’associazione hanno vissuto in prima persona. Hanno fatto da apripista in tutto. Siamo partiti dalla prenotazione delle visite e creato poi contatti con i centri ospedalieri. Presto ci siamo resi conto della difficoltà di raggiungere il Irccs-Crob di Rionero, che nel tempo è diventato il nostro centro di riferimento, pur lasciando sempre la libertà di scelta al malato perché il rapporto con i medici è prioritario. A Rionero abbiamo trovato porte aperte, si sono creati rapporti privilegiati e abbiamo istituito convenzioni con la mensa per i familiari dei pazienti. Ci siamo un po’ sostituiti a quelli che potevano essere i servizi che molte comunità offrono ai malati: viviamo già il disagio di alcuni comuni di essere molto lontani dagli ospedali. Cerchiamo di guardare alla sfera dell’ammalato in tutta la sua complessità e di dare risposte anche a problemi pratici che a volte sembrano insormontabili».
Quali sono le vostre principali attività?
«Prevenzione, informazione, assistenza. Cerchiamo di formare le persone che sono a contatto con i malati per avere miglior ascolto e di fornire quello che serve. Abbiamo una sede che rappresenta il costo totale di “Agata”, che si autofinanzia. C’è la ricezione, una sala riunioni, una stanza di ascolto e una stanza in cui si provano le parrucche. Del personale formato accompagna le donne in questo momento particolarmente critico in cui ci si spoglia di tutto. Le emozioni sono forti e i sentimenti che vengono fuori moltissimi: rabbia, difficoltà, vergogna. Chi incontra queste donne deve conoscere delle tecniche per facilitare un momento angosciante, un trauma fortissimo e uno dei disagi maggiori nel percorso di cura. Abbiamo anche un pulmino per accompagnare i malati nei centri chemio, per guidarlo c’è un albo di autisti volontari. E poi visite di formazione con oncologi, radiologi, persone che possano dare risposte. Abbiamo acquistato un ecografo nell’ospedale di Tinchi. Facciamo controlli gratuiti e quando necessario ci sostituiamo al malato nel pagamento del ticket».
Quali servizi andrebbero strutturati e non dovrebbero essere “relegati” al mondo delle associazioni e del volontariato?
«Innanzitutto i trasporti. E poi creare un meccanismo di accompagnamento: gli psico-oncologi sono importantissimi e non solo negli ospedali, ma anche nelle comunità e nelle attività domiciliari. Va strutturata una rete a 360 gradi che spazi dalla fisioterapista per la riabilitazione al medico che possa raggiungere i malati a casa. C’è un gran lavoro da fare».
Come si può fare per dare un contributo alle attività dell’associazione?
«Abbiamo un numero di conto corrente e momenti di raccolta fondi. La prossima settimana, ad esempio, ci sarà una partita di calcio di solidarietà; c’è poi il lavoro delle “formichine laboriose” con la creazione di bomboniere, marmellate, oggetti per raccogliere fondi che ci consentono di portare avanti l’attività di prevenzione e accompagnamento nella malattia e per la gestione quotidiana. In termini di disponibilità attiva, siamo aperti a tutto. Naturalmente, chiediamo un patto di riservatezza perché parliamo della vita intima delle persone, anche se rispetto a questo non abbiamo mai avuto problemi. C’è tanta generosità. Se fosse un’attività di servizio, in termini economici sarebbe un impegno grande».
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Di Serena Nuzzaco24 Novembre 2024