Non bastano i maggiori servizi, e nemmeno la maggiore estensione. Negli ultimi vent’anni, nelle 14 Città metropolitane d’Italia, la popolazione è cresciuta solo dello 0,2% in più rispetto alla media nazionale. Un calo, quello demografico, che è stato, però, colmato, con l’arrivo di un maggior numero di stranieri, la cui percentuale, sul totale della popolazione, è dell’8,8%. E mentre si discute di Autonomia differenziata, persistono le differenze tra le città del Nord e quelle del Sud, con il reddito pro capite di queste ultime ben al di sotto della media nazionale.
Sono questi alcuni dei risultati a cui approda l’analisi multitematica “Profili delle Città metropolitane”, effettuata da Istat nel ventennio 2001-2021. Diversi gli aspetti analizzati, dalle caratteristiche geomorfologiche fino a quelle demografiche. Su questo versante, lo studio documenta una crescita della popolazione poco più alta della media nazionale nei territori delle ex province. Tranne alcune felici eccezioni, come Roma, in cui la popolazione è cresciuta del 14%, in media, nelle Città metropolitane si ferma al 3,8%, di poco superiore a quella nazionale, il 3,6%. Inarrestabile, poi, lo spopolamento delle aree interne: se nei capoluoghi la popolazione cresce in media dell’8%, scende in oltre sei comuni rurali su cinque. Nell’ultimo ventennio, però, gli stranieri residenti nelle ex province sono quasi quadruplicati, passando dal 2,4% della popolazione totale del 2001, all’8,8% del 2021. Sul piano economico, si confermano le differenze tra Nord e Sud. Se tutte le prime superano il reddito medio pro capite, con picchi come Milano (23mila euro), Palermo, Reggio Calabria e Messina si posizionano ben al di sotto. Caso positivo nel Mezzogiorno, Bari, che sfiora la media in termini di reddito pro capite (13mila 500) e supera di circa cinque punti la densità di unità locali rispetto all’Italia.