(Adnkronos) – Cinema. Il prossimo 27 gennaio la Walt Disney Company compirà 100 anni; la più grande società del mondo di intrattenimento (con un valore di mercato di oltre 180 miliardi dollari) ha da poco licenziato il suo Ceo Bob Chapek richiamando al vertice della società il leggendario manager Bob Iger. I motivi di questo clamoroso avvicendamento risiedono in una crescente crisi di introiti da molti settori di punta ma soprattutto dal cinema e ciò nonostante quattro degli attuali primi dieci incassi al mondo (compreso il sequel del primatista assoluto di entrate, Avatar) siano a marchio Disney. L’industria del cinema in tutto il mondo ha toccato un livello assoluto di crisi durante i lockdown della pandemia: gli introiti da sala nel 2020 sono stati di circa l’82% in meno rispetto a quelli del 2019; quest’anno si stima che gli incassi mondiali non supereranno il 65% di quelli medi pre-Covid. La pandemia è (più o meno) passata ma la crisi del cinema è rimasta. Nel nostro Paese prima del Covid (quindi con riferimento al biennio 2019/2020) la filiera cinematografica (produttori, distributori, industrie tecniche, esercenti, produttori di apparecchi cinematografici) generava un giro d’affari di circa 4 miliardi di euro con la presenza di oltre 2000 aziende in prevalenza di piccole dimensioni (il 97% delle imprese è sotto i 10 milioni di fatturato). Queste ultime hanno dimostrato peraltro una buona tenuta con una crescita media dei ricavi tra il 3% e il 6% annuo dal 2013 al 2018 nonché una redditività piuttosto elevata (con una ebitda margin significativamente superiore al 10%). In questo contesto, già prima della pandemia, il settore delle sale cinematografiche veniva indicato come l’anello debole della filiera proprio perché stava subendo in maniera molto incisiva la concorrenza di altri media. Ora la pandemia da Covid ha accelerato e migliorato l’alfabetizzazione digitale ed ha sicuramente accentuato (ma non causato) la crisi del cinema in sala dovuta principalmente ad altre ragioni, quali l’inadeguatezza tecnologica della maggior parte delle sale nazionali e un diverso modo di fruizione dello spettacolo cinematografico da parte delle generazioni più giovani. Infatti grandissima parte del pubblico di età inferiore ai quarant’anni non solo non frequenta le sale cinematografiche ma è ormai abituata a fruire il prodotto cinema solo sui tablet, sui cellulari, sui computer e vari altri device ma esclusi gli schermi televisivi, con un impatto negativo anche sui classici meccanismi del lancio pubblicitario. Eppure in molti rimpiangono la magia della visione del film in sala (Denis Villeneuve ha detto: vedere un film come Dune in TV è come guidare un motoscafo in una vasca da bagno) anche se al di là dello streaming e dei gusti dei nativi digitali il successo da sala dipende, ora come in passato, principalmente dalla campagna marketing e promozionale che anticipa e accompagna il prodotto. Ma le campagne di questo tipo costavano molto e pochi se le possono permettere mentre un lancio in streaming costa enormemente meno. Da qui un circolo vizioso che penalizza sempre di più il grande schermo e che difficilmente (purtroppo) potrà cambiare nel breve-medio periodo.
Ritorni. Dopo aver inciso la loro ultima canzone nel 1999, torna sul mercato il duo Everything but the Girl (Ben Watt e la fantastica Tracy Thorn) con il singolo “Nothing left to lose” che anticipa l’uscita dell’album “Fuse”. Il nuovo singolo è elegante e piacevole come è tradizione del gruppo e il sound (che mischia soul, jazz ed elettronica) è molto anni ’90, un periodo di grande moda in questo momento (anche nel cinema e nel costume; recentissimi “la vita bugiarda degli adulti” e “Aftersun” sono entrambi ambientali proprio nei ’90). “Fuse” uscirà dal 21 aprile prossimo ma già ora è possibile vedere il video di “Nothing left to lose” rializzato in un unico piano sequenza del regista trendy Charlie Di Placido. (di Mauro Masi)