La Legge di Bilancio 2023 n. 197/2022 (art. 1 commi 186-205) in vigore dal primo gennaio prevede la possibilità di definizione agevolata dei giudizi tributari in cui è parte l’Agenzia delle Entrate (Ade) ovvero l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli (Adm), pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello innanzi alla Corte di Cassazione, anche a seguito di rinvio. Trattasi dell’ultima di una lunga serie di definizioni agevolate delle liti tributarie che si sono avvicendate nel corso degli ultimi anni (art. 16 L. n. 289/2002; art. 39, comma 12 del d.l. 98/2011, art. 11 del d.l. n. 50/2017; art. 6 del d.l. n. 119/2018; art. art. 5 della l. n. 130/2022), la cui normativa, anche sotto il profilo letterale, nel tempo si è consolidata.
Tuttavia, la nuova disciplina contiene alcune differenze rispetto alla versione precedente (art. 6 del d.l. n. 119/2018) riguardanti i requisiti che devono caratterizzare i giudizi per poter essere annoverati tra quelli definibili.
La prima differenza riguarda l’ampliamento della definibilità ai giudizi in cui è parte l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, laddove la previgente disciplina la limitava ai giudizi in cui era parte l’Agenzia delle Entrate.
La seconda consiste nella eliminazione dell’inciso “aventi ad oggetto atti impositivi”, a seguito della quale non appare più essere presente la limitazione, prevista nelle versioni precedenti, della defìnibilità ai soli giudizi aventi ad oggetto atti impositivi, vale a dire avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni, atti di recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati.
Quest’ultima innovazione risulta particolarmente rilevante in quanto sembra ampliare notevolmente lo spettro dei giudizi definibili, includendo quelli che nella versione precedente, pur avendo come parte costituita l’Agenzia delle Entrate, erano esclusi dalla definizione. Dovrebbero rientrare nella definizione agevolata, quindi, anche i giudizi aventi ad oggetto gli atti di “mera riscossione” quali: i ruoli e le cartelle di pagamento emessi per il recupero di imposte e/o ritenute dichiarate ma non versate dal contribuente; le intimazioni di pagamento; gli avvisi di liquidazione in materia di imposta di registro anche se non fanno valere una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione; gli avvisi di liquidazione in materia di successioni, anche nel caso in cui l’Ufficio si limiti a determinare l’entità del tributo dovuto, secondo i dati dichiarati dal contribuente.
Continua, invece, a permanere la limitazione alla definibilità di quegli atti che non recano una pretesa tributaria quantificata, come ad esempio gli atti di diniego delle agevolazioni, e ciò perché anche la nuova normativa prevede che gli importi dovuti per la definizione agevolata siano rapportati al valore della controversia che si determina sulla base all’ammontare dell’imposta o delle sanzioni indicate nell’atto impugnato che risultano in contestazione. Permane anche la esclusione dalla definizione agevolata dei giudizi aventi ad oggetto dinieghi di precedenti definizioni agevolate, giacchè, come più volte sostenuto dalla Suprema Corte di Cassazione, non è ammissibile il cd. “condono di condono”(vedi Cass. 19/01/2018, n. 1317; Cass. 08/06/2018, n. 14993).
Massimo Ferrante è avvocato e segretario generale di Uncat