La Basilicata è tra le regioni interessate dai deserti sanitari che non si limitano agli operatori dei pronto soccorso e alle crescenti dimissioni volontarie post pandemia di infermieri e oss, ma riguardano anche medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e molti altri specialisti. A tal proposito, nelle scorse ore, il segretario regionale Fimmg Basilicata, il dottore Antonio Santangelo ha annunciato lo stato di agitazione per i medici di famiglia lucani.
Dottore, qual è il vostro punto di vista?
«Anche la Basilicata da circa due anni sta affrontando i problemi della carenza dei medici, più volte denunciata dalla Fimmg, in parte dovuta al progressivo pensionamento dei medici ma anche dalla scarsa attrattività del sistema sanitario della regione. Dal 2022 al 2028 ben 236 medici di medicina generale e 135 medici della ex guardia medica andranno in pensione. Si consideri che sono almeno due anni che le due aziende sanitaria stanno facendo i salti mortali per garantire il servizio di continuità assistenziale, ma spesso non ci riescono per cui capita di dover accorpare nello stesso turno due presidi o ricorrere ai medici di medicina generale. Il sottoscritto ad esempio a 68 anni ha effettuato turni di continuità assistenziale a Natale 2021 e Capodanno 2022 e 2023. Quest’anno per la prima volta il 38% delle zone carenti di assistenza primaria non sono state assegnate».
Da dove nasce la scarsa attrattività del sistema sanitario lucano?
«È data dalla differenza di reddito fra un medico di medicina lucano e uno dell’Emilia Romagna: infatti un medico emiliano a parità di numero di assistiti in carico guadagna il 25-30% in più rispetto ad un medico lucano. Tutto ciò fa sì che diversi giovani medici lucani appena terminano il Corso di Formazione Specifico in Medicina Generale si trasferiscono nelle regioni del Nord dove appena arrivano trovano situazioni favorevoli anche dal punto di vista organizzativo: dal personale di studio alle dotazioni strumentali, dall’inserimento nelle forme aggregative della medicina generale alla disponibilità di locali adeguati».
Quali le azioni di contrasto messe in campo dalla Regione Basilicata?
«La Regione ha risposto finora da un lato dando la possibilità ai medici in servizio di andare oltre il numero massimo di pazienti in carico (da 1500 assistiti fino a 1800/2000 assistiti) dall’altro ignorando analoghi provvedimenti adottati da altre regioni (il Lazio ha dato da un anno la facoltà ai medici 70 di rimanere in servizio fino a 72 anni)».
Quali i rischi peggiori?
«Oggi chiudono i presidi di continuità assistenziale, domani alcune comunità si troveranno ad affrontare i problemi dell’assenza del medico di famiglia con l’eventualità di avere uno studio di medicina generale aperto solo alcune ore della settimana e solo per alcuni giorni o peggio doversi spostare in comuni vicini, che per quanto vicino rappresentano enormi disagi per una popolazione sempre più anziana e fragile priva oltre tutto sempre più spesso di una rete familiare assistenziale».
Che risposta avete ricevuto?
«Nessuna risposta dalla Regione. Fin dal 2010 abbiamo presentato una nostra proposta di un nuovo AIR (Accordo Integrativo Regionale). La nostra proposta doveva dare nuova linfa alla riorganizzazione della Medicina Generale. La costituzione delle AFT (aggregazioni funzionali territoriali) e delle UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie), nel numero di 1 ogni 20.000 abitanti, erano forme complesse di associazionismo medico che dovevano farsi carico dell’assistenza h24 e 7 giorni su 7, misura necessaria anche per ristrutturare il servizio di Continuità Assistenziale (che ricordo presenta il più alto numero di addetti in rapporto alla popolazione in Italia). Le AFT e le UCCP per la Fimmg erano e sono la naturale evoluzione delle Equipé Semistrutturali concordate nell’ultimo Accordo Integrativo Regionale datato ormai nel lontano 2008. Fra le attività previste per le Equipés Semistutturali vi era l’individuazione di uno studio di riferimento dove potevano essere allocate attività assistenziali di secondo livello rispetto a quelle di un singolo medico di famiglia e questo avrebbe sicuramente avuto ricadute positive sull’abbattimento delle liste d’attese. Fin dal 2010 avevano proposto l’istituzione in ogni distretto sanitario di una struttura, presidio diurno di attività integrative per il sistema delle cure primaria (PDAI), che aperto tutti i giorni per almeno 12 ore doveva operare un filtro sul territorio per tutte le problematiche minori che purtroppo spesso inducono i cittadini a rivolgersi ai pronto soccorso. In pratica già dal 2010 avevamo ipotizzato strutture sanitarie che ora stanno sbandierando come soluzione ai mali della sanità, ovvero le case della comunità».
Quali sono i vostri auspici?
«Non si può pensare ad una riforma della sanità territoriale senza il coinvolgimento dei professionisti del territorio. Chiediamo di essere ascoltati, chiediamo risposte immediate perché senza una medicina territoriale (Medicina Generale, Servizio di Emergenza-118; Pediatria di Libera Scelta) efficiente il sistema sanitario non potrà reggere a lungo».