Il nostro è un Paese dove tutti dichiarano di volere il benessere della comunità, ma dove i fatti generano il benessere di pochi. Un Paese, dove tutti dichiarano di non voler lasciare nessuno indietro, ma dove tanti vengono lasciati indifesi e soli, specie a beneficio dei forti. L’Italia auspica sempre la pace sociale, da destra a sinistra, senza differenza di culture o opinioni, ma troppe volte questa pace è più a beneficio di chi non vuol essere disturbato nel farsi i propri interessi particolari, che un valore in sé per star bene tutti. Tre esempi emblematici per riflettere: le banche, la sanità e i grandi gruppi imprenditoriali concessionari di servizi pubblici.
Banche: tassi di interesse alle stelle per i mutui prima casa, contratti da cittadini consumatori, prevalentemente orientati da chi eroga gli stessi mutui. Tutele reali per dialogare con l’istituto di credito, al fine di rinegoziare, rivedere, controllare e contenere la speculazione di chi gestisce il risparmio di tutti? Nessuna! La prova: quanti hanno le competenze e i soldi per difendersi da un istituto di credito se questi abusa? Risposta dello Stato: formale!
Fatta di autorità di vigilanza che non potranno mai garantire un controllo diffuso e il cui accesso da parte di un semplice cittadino è pressoché impossibile! E poi tante norme e codicilli, clausole e articoli che nascono per tutelare il cittadino, ma che una stola di firme finisce per far tutelare la banca. Quando basterebbe dire che il credito per determinate finalità deve avere, per legge, un tetto. Come dire, non si specula sul bene casa, che è risparmio e nido di una famiglia! Legislatore e governi vari: non pervenuti!
Sanità: disuguaglianze tra territorio e territorio, quindi tra cittadini di una stessa nazione, ma anche di una stessa regione, perché la prossimità a questo o quel territorio che ospita una struttura ospedaliera o una rete di ambulatori d’eccellenza, crea enormi differenze tra chi non può muoversi e chi può farlo, tra chi possiede le informazioni giuste per orientarsi e chi no. Nel frattempo chi può si sposta e sceglie la struttura sanitaria che lo potrebbe curare meglio. Con questo atto legittimo d’amore per sé, chi si sposta contribuisce a costruire la pietra tombale per il sistema di cura del territorio da cui è partito, invertendo il paradigma delle emigrazioni per motivi di lavoro del dopo guerra dove si partiva per ritornare e portare i sacrifici di quella emigrazione nella propria terra natia, per costruirsi l’abitazione principale e poi anche quella per la villeggiatura. Queste altre emigrazioni funzionano al contrario: si parte per portare i propri risparmi in un’altra terra, che eroga cure a chi accoglie e restituisce povertà sanitaria al territorio di origine del paziente. Ma quante sono le emigrazioni veramente obbligate? Il dato il Ministero della Salute lo ha fornito attraverso Agenas. E per queste emigrazioni obbligate, perché deve ancora pagare la Regione di origine del cittadino che emigra e non lo Stato con i denari di tutti, compresi quelli di chi si arricchisce della mobilità sanitaria creata da uno Stato che in 44 anni di sistema sanitario nazionale non è riuscito a neutralizzarla? Legislatore e Governi: non pervenuti!
Grandi gruppi imprenditoriali concessionari di servizi e forniture di beni pubblici: il discorso non è molto diverso da quello fatto per le banche. Anche in questo caso, il bello e il cattivo tempo lo fa chi è più forte. Non importa se hai firmato una clausola svantaggiosa che arricchisce la compagnia telefonica per un servizio non reso o se un gestore di energia abusa del suo potere dominante o se scopri che il tuo lavoro è destinato a ingrassare le compagnie petrolifere. Esistono sì e meritoriamente le associazioni di protezione dei consumatori, ma fanno il solletico a chi ha solide lobby e solidi capitali alle spalle. Legislatore e governi vari: non pervenuti!
Mi domando se davanti un quadro così desolante, nel deserto delle tutele, servano davvero decisionisti o mediatori. Forse servirebbero decisori con il carisma della mediazione, che vogliano riconciliare il Paese e non, come avvenuto nelle rare e migliori ipotesi, assumere il ruolo di vigili urbani o di amministratori condominiali o di arbitri nel traffico o nelle competizioni tra interessi contrapposti. Ciò non significa tarpare le ali a chi vuole competere, o frenare chi vuole correre, o ammazzare il libero mercato. Semplicemente significa, invece, far giocare il campionato a squadre della stessa serie quando la competizione è necessaria ed escluderla quando il bene è comune: l’energia, la telefonia, il carburante, il credito, la salute, vanno sottratti al campo da gioco e limitati nella libertà di iniziativa economica privata. Non servono coraggiosi decisionisti nella politica, ma semplicemente decisori onesti e di buon senso, a oggi non pervenuti in queste delicate materie. Le proposte ci sono, pronte per essere realizzate.
Gianluca Budano welfare manager
Bentornato,
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