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Bari, aggrediti dal branco nel Parco Rossani: «Erano in dieci, nessuno ci ha aiutato»

«Eravamo seduti come sempre a quella panchina, per parlare, per stare tranquilli. Non sappiamo dove andare per chiacchierare, e ci sembrava che il Parco Rossani fosse un posto sicuro». Antonio e Federico (ndr, nomi di fantasia), 17 anni a testa, domenica pomeriggio, mentre coppie di genitori spingevano i bimbi sulle giostre, poco distante, sono stati…

«Eravamo seduti come sempre a quella panchina, per parlare, per stare tranquilli. Non sappiamo dove andare per chiacchierare, e ci sembrava che il Parco Rossani fosse un posto sicuro». Antonio e Federico (ndr, nomi di fantasia), 17 anni a testa, domenica pomeriggio, mentre coppie di genitori spingevano i bimbi sulle giostre, poco distante, sono stati aggrediti dal branco.

«Erano tanti, ne ho contati 10 tra maschi e femmine», raccontano ancora scossi. Giubbotti neri griffati i ragazzi, stivali e minigonne le ragazze, «erano più piccoli di noi – spiega Antonio – Ha cominciato una ragazza, la fidanzata del capo, ci ha preso dalla panchina le nostre cose. Ha chiesto una sigaretta e poi ha preso pacchetto e accendino. Abbiamo solo detto di ridarceli e il capo ha risposto in dialetto: “Se li rivuoi te la devi vedere con me”. Poi Federico ha buttato una carta dietro la panchina, proprio mentre arrivava un altro del gruppo e l’hanno preso come un affronto». Schiaffi e calci a lui, «che quello è mio fratello», urla il capobranco.

Una spinta ad Antonio che tentava di difendere il suo amico, «continuavano a minacciare Federico – prosegue Antonio – Gli hanno detto: “Chiedi scusa, inginocchiati e chiedi scusa all’amico mio”. E Federico ha dovuto scusarsi, anche se non aveva fatto niente». Poi se la prendono con Antonio: «Mi hanno chiesto il telefonino, non l’ho dato, hanno visto la collanina che avevo al collo e me l’hanno strappata. Una ragazza ci sputava addosso, ma le amiche ci hanno dato i fazzolettini per ripulirci».

E, una volta strappata, la collana non interessava più: «Un altro del gruppo l’ha aggiustata e me l’ha ridata. La ragazza, quella che ci aveva già urlato contro, si divertiva a tenere lo stivale sullo stinco della mia gamba». Poi prendono sigarette, tabacco e accendini e vanno via, ma è la ragazza a lanciare l’avvertimento, sempre in dialetto: «Ci ha guardato e ha detto “Mò non chiamate i carabinieri che vi uccido”. Abbiamo aspettato che si allontanassero verso il campo da basket e siamo usciti, eravamo traumatizzati».

Niente lividi sul corpo, hanno accertato dopo, ma una rabbia che forse è contagiosa. «C’era un uomo al telefono poco lontano, i genitori vicino alle giostre, c’era gente e nessuno ha mosso un dito per difenderci. Forze dell’ordine? No, non è passato nessuno, nessuno ci ha aiutato».

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