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Brindisi di Capodanno made in Salento con le bollicine prodotte da 606 attività

Il brindisi di Capodanno parla salentino. È quanto emerge dall’ultimo studio condotto dall’Osservatorio economico Aforisma, diretto da Davide Stasi. Sono ben 571 le aziende della provincia che operano nel settore vitivinicolo con il codice Ateco della «Coltivazione di uva da vino e da tavola in vigneti». Se ne contavano 557 nel 2020, anno della pandemia.…

Il brindisi di Capodanno parla salentino. È quanto emerge dall’ultimo studio condotto dall’Osservatorio economico Aforisma, diretto da Davide Stasi. Sono ben 571 le aziende della provincia che operano nel settore vitivinicolo con il codice Ateco della «Coltivazione di uva da vino e da tavola in vigneti». Se ne contavano 557 nel 2020, anno della pandemia. A queste si aggiungono le 35 aziende che si occupano della sola miscelatura, purificazione ed imbottigliamento per un totale di 606 attività. Gli spumanti salentini sono pochi, ma buoni. Si tratta di bottiglie pregiate, con un buon rapporto prezzo-qualità. Spesso frutto di innovazioni introdotte in aziende che valorizzano vitigni autoctoni e tecniche di produzione all’avanguardia.
«Il settore vitivinicolo – spiega Davide Stasi – ha vissuto un periodo molto difficile, soprattutto a causa dell’emergenza sanitaria e dell’apertura a singhiozzo delle attività ristorative. Tre i principali fattori che hanno contribuito alla crescita: l’andamento del cambio euro-dollaro che ha permesso di compensare gli aumenti dei costi di produzione e recuperare competitività sui mercati legati al dollaro come Stati Uniti d’America e Canada; la ripresa del turismo a livello globale, che ha dato impulso ai consumi di vini e spiriti nel canale Horeca; la diversificazione dei mercati, come strategia adottata da molte aziende che guardano ai Paesi emergenti, come ad esempio Tailandia e Vietnam».
Per Stasi, «la situazione ora è cambiata, ma più in generale l’agricoltura salentina, a differenza di quella nazionale, sta attraversando una fase di difficile transizione. Tante le cause, a cui dare una nuova prospettiva: ricambio generazionale, innovazione tecnologica, meno burocrazia, più competenze. Maggiore cooperazione e aggregazione tra le realtà, non solo produttive, ma anche tra aziende e consumatori, coordinando le filiere è l’unico modo per limitare le asimmetrie del mercato. L’evoluzione tecnologica sta aiutando in parte e, con ogni probabilità, lo farà ancor di più in futuro, le imprese agricole, sia a smaltire in modo più semplice e veloce l’enorme carico burocratico, sia a svolgere tanti compiti che oggi nel settore primario sono ancora svolti con metodi tradizionali. La rivoluzione digitale – aggiunge Stasi – può davvero impattare in modo significativo sull’agricoltura, ma potrebbe scontare la mancanza di personale adeguatamente preparato al cambiamento. Ci sono le scuole e le università, volte a formare i futuri operatori del mondo agricolo, ma l’applicazione della rivoluzione digitale in agricoltura deve ancora attuarsi pienamente. Occorrono tanti ragazzi che siano validi agronomi o periti agrari e al contempo conoscano molto bene l’elettronica, l’informatica, le tecnologie digitali e che abbiano quelle competenze trasversali (soft skill) che servono per applicare al meglio la rivoluzione 4.0».

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