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Lupara bianca nel Barese, la rivelazione durante le nozze di un sodale

La rivelazione dell'omicidio del 28enne Angelo Popolizio, ucciso ad Altamura, nel Barese, il 7 agosto 2014, sarebbe stata fatta dal presunto mandante del delitto, il boss Michele D'Abramo, in occasione del matrimonio di un sodale, alcune settimane dopo. È uno dei particolari che emergono dalla lettura dell'ordinanza di arresto notificata in carcere ai pregiudicati Nicola…

La rivelazione dell’omicidio del 28enne Angelo Popolizio, ucciso ad Altamura, nel Barese, il 7 agosto 2014, sarebbe stata fatta dal presunto mandante del delitto, il boss Michele D’Abramo, in occasione del matrimonio di un sodale, alcune settimane dopo. È uno dei particolari che emergono dalla lettura dell’ordinanza di arresto notificata in carcere ai pregiudicati Nicola Cifarelli, 44 anni, e Cesare Michele Oreste, 39 anni, ritenuti esecutori materiali dell’omicidio premeditato e coinvolti nell’occultamento del cadavere del 28enne. Negli atti giudiziari viene ricostruita l’intera vicenda soprattutto attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. E sono proprio alcuni “pentiti” ad aver riferito agli inquirenti della Dda di Bari il racconto fatto durante una festa di nozze.

«Al matrimonio – ha spiegato un collaboratore di giustizia – Michele D’Abramo mi ha raccontato che prima di ammazzare Popolizio si sono fatti raccontare cosa aveva in mente di fare, che avrebbe dovuto ammazzarlo per mano di Mario (DAmbrosio, capo del clan rivale, ndr), perché c’erano vecchi rancori. Diceva che piangeva, sperava che lo lasciassero e invece è stato ammazzato». Il corpo della vittima non è stato mai ritrovato, «sepolto sulla Murgia» hanno detto i «pentiti». La gip del Tribunale di Bari Ilaria Casu, nel riconoscere l’aggravante mafiosa, evidenzia la «caratura criminale dei protagonisti della vicenda» e la loro «capacità intimidatoria, in un clima ambientale caratterizzato dal costante utilizzo del metodo mafioso e dalla presenza di una profonda omertà». Persino alcuni famigliari della vittima, sentiti dagli investigatori, avrebbero omesso di raccontare alcuni particolari. «Io ho una famiglia – ha detto uno dei testi in una intercettazione ambientale – , che qua capace che per una parola sbagliata ci troviamo in quattro tavole noi».

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