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Il rischio di “schematizzare” la scrittura degli atti giudiziari

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano (Pnrr) prevede come obiettivo delle riforme nel settore giustizia “la riduzione del tempo del giudizio”. La maggior celerità dei processi è, infatti, considerata funzionale al raggiungimento di una maggiore competitività del Paese in termini di attrattività degli investimenti stranieri. Con la l. n. 206 del 2021, il…

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano (Pnrr) prevede come obiettivo delle riforme nel settore giustizia “la riduzione del tempo del giudizio”.

La maggior celerità dei processi è, infatti, considerata funzionale al raggiungimento di una maggiore competitività del Paese in termini di attrattività degli investimenti stranieri. Con la l. n. 206 del 2021, il Parlamento ha, dunque, delegato il Governo alla riforma del processo civile finchè, lo scorso 28.09.2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato tre decreti legislativi di attuazione della riforma della giustizia civile e penale e dell’ufficio per il processo.

L’entrata in vigore è prevista per il 30 giugno 2023, ad eccezione per alcune specifiche disposizioni che si applicheranno già il prossimo 1° gennaio 2023. Le linee fondamentali passano attraverso la riduzione dei termini processuali; la sinteticità degli atti processuali; la normalizzazione di alcune novità processuali introdotte dai decreti legge emessi nel periodo di emergenza covid (tra cui la trattazione scritta e/o da remoto delle udienze) nonché del processo telematico. Viene abrogato il c.d. rito Fornero in tema di licenziamenti individuali ed introdotto il Tribunale delle persone e della famiglia oltre che una serie di semplificazioni nei procedimenti esecutivi e di volontaria giurisdizione; gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie sono potenziati e viene ampliata la competenza per valore del Giudice di Pace.

Debutta il “rito semplificato di cognizione”, che tanto ricorda l’ahimè fallito rito societario, mentre nel giudizio a cognizione ordinaria si assiste alla anticipazione di una serie di barriere preclusive per entrambe le parti già nella fase introduttiva. Per questo il termine minimo a comparire è di 120 giorni mentre il termine minimo per il convenuto è di 70 giorni. Entro 15 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto (termine ordinatorio), il giudice istruttore esamina citazione e comparsa di risposta e verifica d’ufficio, fuori udienza, la regolarità del contraddittorio, indicando con ordinanza eventuali questioni rilevabili d’ufficio che verranno trattate e risolte all’esito del deposito di tre memorie integrative.

La riforma, poi, introduce nel codice di rito due nuove norme con le quali, in via anticipata, il giudice può accogliere oppure rigettare la domanda attorea valutandone la manifesta fondatezza o infondatezza. Ma veniamo ad una norma piuttosto curiosa, inserita nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, ossia l’art. 46-ter in virtù del quale il Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, “definisce con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo… sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti”.

Posto che la norma come formulata è molto generica, ciò che preoccupa è che un’autorità ministeriale possa e debba dire a dei liberi professionisti come scrivere un atto giudiziario e quanto lungo esso debba essere. La cosa inquieta non poco: la stesura di un atto è senza dubbio il momento più creativo della professione forense, non solo perché esercizio di scrittura e di stile ma soprattutto perché è lì che si imposta la strategia difensiva. Presumibilmente questa “schematizzazione” degli atti giudiziari è funzionale all’introduzione dell’intelligenza artificiale nell’ambito del processo telematico, senonchè non sembra ad una prima analisi che su disposizioni come questa – come anche sul nuovo regime delle preclusioni – sia stato in qualche modo valorizzato un confronto con l’Avvocatura, la quale ha avuto modo esprimersi da tempo in ordine alla inadeguatezza dei correttivi. Chi opera tutti i giorni nelle aule di giustizia, sa bene che la velocità di definizione di un giudizio non dipende dalla lunghezza dei termini processuali assegnati alle parti per il compimento delle attività processuali quanto piuttosto dal tempo intercorrente fra una udienza e l’altra e che questo lasso temporale è tanto più lungo quanto più è carico il ruolo del singolo Magistrato. È apprezzabile l’apertura verso le Adr ma viene il sospetto che – pur di contrarre i tempi della giustizia civile – la Riforma, nella versione definitiva, abbia finito per onerare le parti e i loro difensori di problemi cronici attinenti esclusivamente ad aspetti di organizzazione interna del settore giustizia, con una grave compressione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione e più in generale del diritto al giusto processo.

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