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Galatina, l’invaso del Pappadai doveva dare acqua agli agricoltori: bloccato da 10 anni

L’invaso del Pappadai, punto di raccolta delle acque provenienti dal fiume Sinni. Da quanti anni non se ne sente parlare? Troppi. Eppure Salento e penuria d’acqua sono un binomio ormai tristemente noto, con un processo di desertificazione e impoverimento del terreno dovuto a Xylella e cambiamenti climatici, a cui si potrebbe ovviare con questa mastodontica…

L’invaso del Pappadai, punto di raccolta delle acque provenienti dal fiume Sinni. Da quanti anni non se ne sente parlare? Troppi. Eppure Salento e penuria d’acqua sono un binomio ormai tristemente noto, con un processo di desertificazione e impoverimento del terreno dovuto a Xylella e cambiamenti climatici, a cui si potrebbe ovviare con questa mastodontica opera caduta nel dimenticatoio.

A scoperchiare un vaso di Pandora che ha dell’incredibile è un reportage degno dei migliori servizi di Report, realizzato dagli studenti della 4 BS del liceo scientifico linguistico “A. Vallone” di Galatina che, guidati dalla docente di Storia e Filosofia, Roberta Romanello, hanno partecipato al concorso Senato&Ambiente, individuando una questione di interesse ambientale su cui ritengono sia opportuno intervenire.

Le studentesse e gli studenti hanno scelto una tematica di grande rilievo: la carenza di acqua nelle campagne salentine, hanno condotto un’indagine sul sistema idrico nel Salento e realizzato il video “Aspettando l’acqua“, disponibile su Youtube.

L’indagine fa emergere una realtà sconosciuta, ma degna di attenzione da parte di cittadini e istituzioni. Scrivono nel progetto: «Esiste un’opera di enormi dimensioni, realizzata a partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso, destinata a soddisfare le necessità idriche del Salento, ma non è mai entrata in funzione. Il suo nucleo principale è l’invaso del Pappadai, nei pressi di Monteparano (Taranto), punto di raccolta e distribuzione delle acque provenienti dal fiume Sinni a partire dalla diga di Monte Cotugno in Basilicata. Attraverso una fitta rete di condotte e di infrastrutture funzionali, questo grande lago artificiale avrebbe la funzione di distribuire l’acqua per irrigare i campi in tutto il Salento, ma da decenni ormai le nostre terre sono in attesa di questa preziosa risorsa che continua a mancare».

Un’opera pubblica colossale, costata allo Stato 262 milioni di euro, divenuta simbolo di sprechi, negligenza e immobilismo. Il lavoro di ricerca degli studenti è stato possibile grazie alla collaborazione del Consorzio per la Bonifica di Arneo che ha consentito il sopralluogo per spiegare loro struttura e il funzionamento della diga e delle infrastrutture connesse.

Il progetto “Irrigazione Salento” è proprio del Consorzio per la Bonifica di Arneo e nasce nei primi anni Ottanta con l’obiettivo di sopperire al fabbisogno idrico annuo del territorio, stimato in circa 313 milioni di m3, per assicurare l’irrigazione di circa 151 mila ettari di terreno agricolo. Acque da reperire con diverse risorse idriche: quelle provenienti dal fiume Sinni, le acque sorgive, quelle della falda profonda e le acque reflue depurate.

Come si legge nella relazione la quantità maggiore, circa 160 milioni di metri cubi annui, dovrebbe arrivare proprio dal Sinni, il cui punto di raccolta è costituito dall’invaso di Monte Cotugno in Basilicata, da cui parte una condotta chiamata acquedotto del Sinni lunga 134 km circa, che discende parallelamente al mare fino a raggiungere l’invaso del Pappadai a Monteparano, in provincia di Taranto, un grande bacino impermeabile che può contenere 20 milioni di metri cubi d’acqua. Da qui si snoda una condotta di circa 77 km fino a Neviano, che dovrebbe portare l’acqua in tutte le campagne. Un sistema che dovrebbe comprendere una serie di opere, come tre serbatoi “tarantini” e sei “salentini”, impianti di sollevamento da sorgenti costiere, reti di ripartizione interconnesse con i serbatoi, pozzi per prelevare acqua di falda e sistemi di intercettazione di acque reflue trattate.

I ragazzi hanno individuato tra le opere realizzate, l’invaso del Pappadai e il collegamento alla diga di Monte Cotugno, sette nodi principali da Monteparano a Monteruga-Zanzara con relative torri da 40 metri e vasche di accumulo. Ciò che non è stato realizzato è la dorsale e le opere connesse per portare l’acqua sino a Neviano, i serbatoi tarantini e salentini né alcuna opera per far confluire i reflui trattati. Ma soprattutto non è mai arrivata una goccia d’acqua agli agricoltori.

Sebbene il progetto sia incompleto, le opere esistenti potrebbero già distribuire l’acqua al territorio ed entrare a far parte di un sistema integrato. Perché è tutto fermo? Circa 10 anni fa le ultime fasi del collaudo sono state interrotte a causa di un danno subito da un canale: non è stato mai riparato.

I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro e vorrebbero poterlo illustrare, per la sua importanza ambientale, economica e sociale, in una pubblica assemblea alla presenza delle istituzioni, le uniche che, se ce ne fosse la volontà, potrebbero dare una svolta all’opera.

Hanno partecipato al progetto Silvia Andriani, Vittoria Assalve, Gabriele Bono, Gemma Cito, Mihret Coccioli, Beatrice Ilaria Durante, Marika Maccagnano, Gabriele Manco Cesari, Francesca Masciullo, Laura Nocco, Francesco Pagliara, Alberto Rocca, Gloria Sambati, Francesca Scorrano, Antonio Dominik Tundo, Giada Tundo e Aurora Valente.

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