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La ricetta per frenare l’Autonomia

L’accelerazione data in queste ultime settimane all’attuazione della autonomia differenziata per Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, se da un lato sembra “fermata” dalle numerose critiche e precisazioni, finanche del presidente della Repubblica, che ha voluto esplicitamente sottolineare il principio di coesione nazionale, richiamare alla responsabilità e ricordare il “principio di uguaglianza” sancito dalla Costituzione, in realtà tale scellerata richiesta continua la sua corsa, alimentata dalle pulsioni secessioniste della Lega Nord e del ministro Calderoli, dei presidenti delle regioni più ricche del Nord. E, ahimé, dal Partito Unico del Nord, che raccoglie trasversalmente quasi tutte le organizzazioni territoriali del Nord di partiti politici, associazioni sindacali, amministratori, media.

Due momenti, a mio avviso, saranno fondamentali per le sorti di questa battaglia in favore della coesione nazionale, dell’uguaglianza, della democrazia, della difesa della Costituzione. Il primo, è riuscire a raccogliere le 50.000 firme necessarie (ma l’obiettivo deve essere molto più alto) a presentare la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare preparata da Massimo Villone e altri. Principali obiettivi di tale proposta sono due.

Stabilire, prima di procedere a qualsivoglia concessione di autonomia, i Livelli Uniformi delle Prestazioni per ogni materia in discussione (Uniformi, per una uguaglianza, anche letterale, in tutto il Paese; non già Essenziali, ché potrebbero portare a stabilire criteri molto bassi, concedendo poi “troppo” a chi se lo può permettere.

Da notare che non esiste un residuo fiscale regionale: la tassazione in Italia è individuale). Bisogna stabilire con chiarezza che alcune materie, strategiche e di interesse nazionale, non possono essere oggetto di devoluzione (quelle elencate nel 117.3; tutela della salute e servizio sanitario nazionale; tutela e sicurezza del lavoro; scuola, università, ricerca scientifica e tecnologica; reti nazionali e interregionali di trasporto e navigazione; porti e aeroporti civili di rilievo nazionale e interregionale; reti e ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale e interregionale dell’energia; previdenza sociale, complementare e integrativa), ma restano di esclusiva competenza dello Stato.

E poi riportare in qualche modo l’intera materia nelle mani del Parlamento. La raccolta di firme non garantisce l’approvazione delle modifiche, ma, visto il nuovo regolamento del Senato, obbligherà ad una discussione alla luce del sole, da parte di tutti i gruppi politici.

Il secondo, è la discussione che si sta iniziando per la “costituzione” di un nuovo soggetto politico di sinistra, a partire dal Pd, che accolga le tante altre più piccole realtà politiche ancorate a sinistra, i movimenti di opinione e le associazioni culturali, singole personalità e cittadini, che, finora, non hanno di fatto trovato adeguata rappresentanza politica. Deve essere politicamente chiaro che l’autonomia differenziata aumenterebbe il gap tra Mezzogiorno e Centro-Nord, magari sfruttando quei finanziamenti del Next Generation Eu concessi, proprio per l’esatto contrario; la riduzione del divario territoriale. Se all’interno di questa “costituente”, al di là della corsa al nome del segretario del partito, farà breccia e sarà posta al centro dell’attenzione politica la questione meridionale (che spazzi via qualsiasi richiesta oscena di “spaccare l’Italia”), per farla tornare a diventare grande questione nazionale, sono convinto che ce la potremo fare.

Giuliano Laccetti è professore ordinario all’Università di Napoli Federico II

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