L’istanza del difensore è respinta. Recitava così l’ordinanza dei giudici dell’esecuzione, in Corte d’appello a Potenza. Peccato che fosse stata scritta molto prima che si tenesse l’udienza e l’istanza in questione fosse depositata dal legale.
Un nuovo caso giudiziario si accende ora, con profili che potrebbero finire direttamente al Consiglio superiore della magistratura. È avvenuto venerdì scorso, nel Palazzo di giustizia di via Nazario Sauro a Potenza, dove si sarebbe dovuta tenere l’udienza nella quale discutere la proposta dell’avvocato barese Nicolò Nono Dachille.
Contenuto della richiesta era l’applicazione dell’articolo 81, e cioè la continuazione, “applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee”.
Il caso sottoposto ai giudici lucani, si basava sulle due condanne riportate dall’imputato assistito dall’avvocato Dachille, un 38enne barese tuttora detenuto: la prima a cinque anni per 15 furti commessi tra Matera e Potenza, la seconda ad altri quattro per la detenzione di un’arma rubata (le accuse contestate sono di ricettazione e detenzione di arma da fuoco). Il legale chiedeva che i nove anni fossero ridotti proprio in applicazione della norma.
Venerdì scorso, in attesa che iniziasse la discussione del suo processo, durante una pausa dell’udienza, l’avvocato viene a conoscenza della sentenza di rigetto, corredata dei nomi dei giudici, ma senza le rispettive firme. Alla sua richiesta di chiarimenti viene spiegato che in mancanza delle firme autografe resta solo una bozza. Singolare, però, che la decisione sia stata adottata ben prima che fosse esercitato il diritto di difesa dell’imputato.
La questione è scivolosa, e allora l’avvocato Dachille chiede un rinvio, propedeutico a riportarla nel giusto alveo. Rinvio concesso, se ne riparlerà meglio nelle prossime settimane. « È il segno della totale svalutazione della difesa – commenta lui – E purtroppo temo che non serva a molto segnalare il caso alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura».
Il caso, in effetti, non è il primo. Solo qualche mese fa, ad Asti, in un processo per violenza sessuale, nell’udienza in cui avrebbe dovuto discutere il difensore di uno degli imputati, il tribunale aveva letto il dispositivo di condanna per entrambi a 11 anni di reclusione. Una vicenda che aveva suscitato le reazioni della Camera penale del Piemonte.