Nuovi filoni d’indagine accendono l’attenzione della procura di Bari sulla gestione degli ultimi anni della Banca popolare di Bari. L’inchiesta, coordinata dal procuratore capo Roberto Rossi, e che mosse i primi passi nel lontano 2016, con l’acquisizione di documenti e sviluppi di indagine, che generato nel tempo altri fascicoli, buona parte dei quali è ora a processo.
Ma una parte del troncone iniziale non è ancora stato chiuso e, al contrario, ha aperto nuovi fronti investigativi che condurrebbero direttamente a Roma. Le indagini, affidate ai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziario del Comando provinciale di Bari, punta ad accertare le eventuali complicità di enti e persone nelle operazioni che, dal 2013 al 2016 in particolare, avrebbero provocato il crac del più grande istituto di credito del sud Italia. Il 31 gennaio 2020 Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio, rispettivamente ex presidente e vice direttore della Popolare, finirono ai domiciliari con le accuse di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alle attività di vigilanza della Banca d’Italia e ora sono sotto processo, al tribunale di Bari per gli stessi reati (prossima udienza il 15 dicembre). Il gruppo Jacobini era in sostanza ritenuto il deus ex machina di un meccanismo collaudato e al centro di una fitta rete di rapporti.
Secondo l’ipotesi accusatoria, la banca apriva una linea di credito e, in contemporanea, chiedeva al cliente di acquistare un pacchetto di azioni con una parte del finanziamento. In sostanza, l’istituto di credito autofinanziava le proprie azioni. “Esistono per questo — scriveva la Procura — fondati motivi che inducano a ritenere che siano state poste in essere condotte lesive dell’integrità patrimoniale della banca”. Le indagini sono poi andate avanti, approfondendo la posizione di azionisti più avvantaggiati di altri, gruppi imprenditoriali che avrebbero venduto i loro titoli, scavalcando altri che attendevano da tempo.
Ora, però, potrebbero portare ancora più in alto.