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Mondiali Qatar 2022, la retorica della Fifa serve a prendere tempo

(Adnkronos) - Non sono Mondiali normali e il Qatar non è un Paese ospitante come un altro. La Fifa lo sapeva quando ha scelto la sede della Coppa del Mondo 2022 e lo sa oggi, alla vigilia della cerimonia di inaugurazione e della prima partita del torneo. Le parole che ha usato il presidente Gianni…

(Adnkronos) – Non sono Mondiali normali e il Qatar non è un Paese ospitante come un altro. La Fifa lo sapeva quando ha scelto la sede della Coppa del Mondo 2022 e lo sa oggi, alla vigilia della cerimonia di inaugurazione e della prima partita del torneo. Le parole che ha usato il presidente Gianni Infantino nel suo discorso sono necessariamente un compromesso fra la percezione di una realtà complicata e l’auspicio che, nonostante tutto, si possa aprire una finestra di 28 giorni capace di ospitare il calcio mondiale in un contesto che, per leggi, cultura e religione, ha più di un problema ha porsi come luogo internazionale, aperto e multiculturale.  

Infantino ha scelto l’unica strada che ha ritenuto percorribile, quella della retorica. “Oggi ho sentimenti forti. Oggi mi sento qatarino, mi sento arabo, mi sento africano, mi sento gay, mi sento disabile, mi sento un lavoratore migrante”. Accostare identità diverse, provenienze diverse, scelte sessuali diverse, condizioni fisiche diverse, vuol dire descrivere lo spirito che una manifestazione come i Mondiali di calcio dovrebbe portare sempre con sé.  

I Mondiali hanno senso se sono integrazione, culture mescolate, competizione fra realtà lontane, unite dal linguaggio universale del calcio. Ospitare i Mondiali in un Paese che non rispetta i diritti civili, che impone restrizioni alla libertà individuale, che utilizza il denaro per allargare le possibilità di pochi e non certo per ridurre le disuguaglianze, pone il problema di una oggettiva frattura fra la realtà e la narrazione che serve a giocare, vivere e raccontare una Coppa del mondo.  

Per questo il presidente della Fifa usa la retorica, consapevole di spingersi su un terreno scivoloso. Un qatarino, arabo e gay, non se la passa bene in Qatar. Un lavoratore migrante potrebbe essere morto nella costruzione di uno degli stadi in cui, da domani, si gioca. E si potrebbe andare avanti a lungo. L’unica possibilità, ed è lì che guarda Infantino, è che si possa vivere in una bolla di 28 giorni, in un tempo sospeso in cui la coesistenza simultanea delle identità elencate dal presidente della Fifa possa, attraverso il calcio, esistere e resistere anche in Qatar. Ammesso che succeda, dal 19 dicembre il calcio tornerà a giocarsi altrove e le contraddizioni del Qatar toneranno a essere ingiustificabili per la cultura occidentale e per la comunità internazionale. (di Fabio Insenga)  

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