«Si riprenda la gestione ordinaria dell’agenzia Arpal attuando tutti gli adempimenti per la rimozione del direttore Cassano richiesti con il verbale del 7 novembre». Recita più o meno così la lettera d’urgenza inviata sabato scorso dalla commissaria Silvia Pellegrini ai sette dirigenti interni di Arpal, l’agenzia regionale per il lavoro.
La commissaria, in pratica, schiaccia decisa sull’acceleratore dopo che il Tar Puglia s’è espresso giovedì scorso in prima istanza sulla decadenza di Cassano negandogli la richiesta restituzione in via d’urgenza della password degli indirizzi mail che la Pellegrini aveva modificato. Il Tar non ha riammesso Cassano alla guida dell’agenzia, ma gli ha aperto una prateria quando specifica, come rivendica da giorni Cassano, che la legge regionale che lo ha destituito non è auto applicativa, ma necessita di ulteriori atti formali e di comunicazioni, in particolare di una lettera di licenziamento. Di qui il nuovo ricorso che il direttore di Arpal sta per presentare dopo aver ricevuto la risposta di chiarimento alla Regione sulla sua posizione, in particolare sulle modalità che regolano il rapporto contrattuale in essere fino a dicembre 2023 con uno stipendio lordo di 150 mila euro annui. Ottenuta la risposta Cassano potrà impugnarla nuovamente dinanzi al Tar Puglia, ma anche al giudice del lavoro per provare ad ottenere una sospensiva sul provvedimento e comunque per eccepire l’illegittimità della legge anti Cassano da sottoporre al vaglio della Consulta.
Nel frattempo l’Arpal resta di fatto senza guida o, meglio, paralizzata dalla guerra fra il commissario inviato dalla regione, la dottoressa Pellegrini, e il direttore uscente che non molla e continuerà la sua battaglia. In tutto questo il governatore s’è smarcato ufficialmente dalla querelle.
«Non ho votato la legge anti Cassano», ha detto ai giornalisti Emiliano venerdì scorso in consiglio regionale a margine dell’incontro sulle autonomie regionali, per poi aggiungere: «Ho provato in tutti i modi a bloccare il provvedimento mettendo in guardia i partiti che volevano approvarlo (Pd in testa), ma non c’è stato nulla da fare». Il governatore, in pratica, ha scaricato ogni responsabilità chiarendo che né lui né gli assessori della giunta firmeranno la lettera di licenziamento di Cassano. Atto quest’ultimo che spetta al livello dirigenziale. Ma chi è quel dirigente che si assume l’onore di firmare il licenziamento di Cassano sapendo poi di finire dritto dinanzi alla corte dei Conti quando la norma sarà osservata dal governo centrale?