Le associazioni ambientaliste tornano in piazza domenica prossima con la manifestazione anti inquinamento denominata “Stop al sacrificio di Taranto”. L’appuntamento è in piazza Garibaldi alle ore 17,00. L’iniziativa è nata dopo le quattro nuove condanne delle Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), nei confronti dello Stato italiano, a causa delle emissioni dell’ex Ilva.
La manifestazione, promossa dal Comitato Cittadino per la Salute e l’Ambiente a Taranto, è stata presentata ieri mattina e sarà aperta da un corteo di bambini che si muoverà da piazza Maria Immacolata per giungere a Piazza Garibaldi, dove interverranno ambientalisti e medici. «In questi anni ci siamo sentiti dire che non è giusto chiudere la fabbrica perché in tanti rimarrebbero senza lavoro e perché non ci sono alternative» ha affermato Massimo Castellana, di Genitori Tarantini, il quale invece vede la luce oltre il tunnel: «Taranto non può e non deve essere solo grande industria. Abbiamo delle risorse naturali come poche altre città. La cultura, l’agricoltura e i nostri mari che possono dare lavoro a migliaia di persone, tra pesca e turismo. Un lavoro pulito che non fa ammalare chi lavora e chi vive in città. Quella che stiamo vivendo – prosegue Castellana – è una situazione paradossale: operai in cassa integrazione e la volontà da parte della proprietà di aumentare la produzione con un impianto ormai vecchio e non rispettoso dell’ambiente e, di conseguenza, della salute dei tarantini minacciati sempre più da morte e malattie. Siamo stanchi di essere presi in giro, basta».
A proposito della decarbonizzazione, Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione PeaceLink ha affermato: «Trasformare l’attuale impianto a carbone in green non è facile. Bisognerebbe demolire completamente la vecchia fabbrica e ricostruirla ex novo. Chi dice che con un investimento di alcune centinaia di milioni di euro l’acciaieria non nuocerà più non dice il vero. Interventi tampone non servono, andrebbe sostituito tutto, anche il più piccolo bullone. L’industria si preoccupa del fatto che la nostra posizione è largamente condivisa dall’opinione pubblica. Di contro c’è quanto sostiene Confindustria, che dovrebbe essere supportato da dati sanitari. Se Taranto è ritornata ad essere una città normale dovremmo avere delle certificazioni di carattere sanitario rilasciate da enti terzi, autonomi ed autorevoli che indicano che Taranto è tornata ad essere una città vivibile. Purtroppo – prosegue Marescotti – la posizione espressa dall’Onu, che definisce Taranto zona di sacrificio, e dall’organizzazione mondiale della sanità, che fa previsioni critiche sull’impatto sanitario anche di uno stabilimento messo a norma, non ci conforta. L’Osm ha fatto una simulazione su un arco di tempo di dieci anni e con impianti messi a norma, secondo le vigenti normative. È emerso che ci sarebbe comunque un eccesso di mortalità statisticamente significativo, una quantità di morti premature tra le 50 e le 80 unità. Abbiamo anche il pronunciamento della procura della Repubblica di Taranto che, di fronte alla richiesta di dissequestro degli impianti, si è espressa negativamente in quanto ritiene che gli stessi siano ancora pericolosi. Se Confindustria è sicura di ciò che afferma ci dimostrino che gli immobili del quartiere Tamburi si possono vendere al prezzo di mercato».
Alla presentazione di ieri ha preso parte anche Lina Ambrogi Melle, del comitato Donne e Futuro per Taranto libera, promotrice dei ricorsi alla Cedu. «Le bonifiche sono al palo – sottolinea – ci sono risorse che dalle bonifiche vengono trasferite alla produzione. Noi siamo pronti a comunicare al comitato dei ministri del consiglio europeo, che ha il compito di vigilare sull’esecuzione di questa sentenza, come stanno veramente la cose. Con questa manifestazione vogliamo far sentire il nostro grido di dolore, vogliamo lanciare un messaggio ad una popolazione che sembra rassegnata. Chiudere quell’impianto significa rendere la nostra città più vivibile».