Il Libertà rinasce attraverso la rivitalizzazione del Redentore e l’impegno di cittadini e istituzioni, aziende e parrocchie, scuole e associazioni. È quello che sta facendo il Gruppo Ladisa con la realizzazione di una “Academy” per la formazione dei ragazzi meno abbienti ma che, allo stesso tempo, sarà al centro di un progetto di antimafia sociale con alloggi e biblioteche, oltre che un supermercato solidale e una cucina sociale che servirà pasti ai poveri. Un progetto importante «non solo per il quartiere, ma per tutta la città», dicono Vito e Sebastiano Ladisa che spiegano: «Sono anni che facciamo recupero sociale perché, oltre a fare attività d’impresa, ci prodighiamo per la crescita culturale e umana del territorio, cercando di dare a tutti un futuro. E nel 95% dei casi ci riusciamo».
Qual è il messaggio?
«Un messaggio forte, che speriamo venga riproposto in tutti i rioni. Ciò che serve principalmente non è un’attività repressiva, ma preventiva. Bisogna dare a tutti la possibilità di scegliere un futuro diverso dalla vita delinquenziale. Vorrei dire basta a tutti gli slogan che non portano a una vera antimafia sociale: bisogna mettere le imprese in condizione di investire sul reinserimento sociale delle persone».
Come nasce il progetto?
«Nasce con don Francesco, il precedente direttore dell’Opera Salesiana. Ma è un’iniziativa che abbiamo già replicato altrove. A livello nazionale siamo presenti ovunque con il progetto del Banco Alimentare, e le inseriamo sempre in tutte le proposte di gara, perché bisogna andare incontro alle esigenze primarie delle famiglie, come facciamo ad esempio con il supermercato sociale. Per noi è una priorità far crescere tutto il tessuto del proprio territorio. Ladisa non si ferma al solo settore della ristorazione, va oltre».
Da dove nasce l’idea?
«Facciamo da sempre attività come questa e abbiamo sempre dato a tutti l’opportunità di cambiare vita. Fermo restando che la scelta deve essere netta: o con il bene o con il male, senza vie di mezzo. Chi entra in questi percorsi di reinserimento sociale deve cambiare vita. Non dobbiamo limitarci alle chiacchiere, ma dobbiamo fare i fatti. Perché l’antimafia sociale non si fa seduti dietro una scrivania. Insieme alle istituzioni ci vuole chi opera nella società e sul territorio. Altrimenti non si va da nessuna parte. Bisogna offrire chance: così si cambiano le cose».
Ve ne siete mai pentiti?
«Non ci pentiremo mai di fare del bene al prossimo. Credo sia un dovere civico fare di tutto per cambiare la società, noi diamo il nostro contributo senza piegare la schiena».
Avete ricevuto minacce?
«Nel tempo abbiamo avuto tanti problemi, a Bari come a Foggia o Gioia del Colle. Furti, minacce e incendi, ma non ci siamo piegati. Capiamo l’animosità di chi non condivide le nostre scelte o non riesce ad avere la meglio, ma per noi, che non siamo mai stati loro interlocutori, non esiste la possibilità di derogare ai principi che sono la nostra storia professionale, umana e culturale. Schiena dritta sino alla fine, perché le anime buone vincono sempre».