In tale senso si è pronunziata la Suprema Corte con ordinanza depositata il 17/10/2022 n. 30411.
“Non è possibile revocare o ridurre l’assegno a carico del padre in considerazione del tempo trascorso dal minore presso i nonni paterni che spontaneamente (e senza obbligo alcuno) si fanno carico delle spese del nipote, essendo questi soggetti diversi dal padre”.
Il supporto finanziario e/o i regali dei nonni (genitori del non collocatario della prole) costituiscono donazioni “che non possono intaccare la misura del contributo mensile dovuto alla madre per le spese quotidiane abituali da affrontare tutto l’anno”.
Queste sono infatti esigenze valutate complessivamente su base annuale e poste alla base degli assegni di mantenimento.
Essi non possono essere decurtati da una donazione una tantum fatta dall’altro genitore o dai nonni.
Le esigenze fisse dei figli evidenzia la Corte non possono essere parcellizzate per la sopravvenienza di maggiore tempo trascorso dai figli presso i nonni.
L’impegno economico, quantificato con l’assegno di mantenimento disposto per soddisfare l’ esigenze basilari dei figli sostenuto durante tutto l’anno, non può essere, quindi, frammentato in proporzione al tempo che il minore trascorre con il padre od i suoi parenti.
Parrebbe essere questo il principio affermato dalla Corte che si è trovata di fronte alla richiesta di un padre che, rappresentando in primo e secondo grado la sopravvenienza di un non irrilevante sgravio del genitore non collocatario per la presenza dei nonni paterni in termini di accudimento della prole e di contributo alle loro esigenze ordinarie e straordinarie, chiedeva la riduzione dell’assegno di mantenimento a suo carico.
La Corte, invero, nel rigettare la richiesta, ha richiamato il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole stabilito dall’art. 147 c.c ed i principi dell’art.155 c.c. circa l’obbligo dei genitori anche separati di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito (e patrimonio).
Ma ha anche richiamato gli elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno: “oltre alle esigenze del figlio, le risorse economiche dei genitori nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti.”.
E’ certo vero che l’assegno di mantenimento viene stabilito su base annua e, per comodità, diviso mensilmente.
Infatti su base annua si tiene conto, si è innanzi scritto, di quelle che sono le esigenze annuali del minore (o maggiorenne non autonomo) per vitto, alloggio e per le altre spese che non sono però straordinarie come, ad esempio, l’abbigliamento, le utenze domestiche, la telefonia e quant’altro. Per cui per poter ridurre un assegno di mantenimento ci deve essere un qualcosa di concreto e di serio, quale ad esempio un evento che pesi sulla redditualità di uno dei due genitori od anche sulle modalità di frequentazione.
Se, difatti, un elemento di quantificazione dell’assegno è costituito dai tempi di permanenza, se essi si modificano in peius o melius ciò non può non incidere sulla quantificazione dell’assegno di mantenimento.
Facciamo un passo indietro e torniamo alla non scontata distinzione tra il contributo diretto che il genitore non collocatario offre per il mantenimento dei figli e il contributo indiretto (tecnicamente chiamato assegno perequativo) che è in buona sostanza il famoso assegno di mantenimento mensile.
Il contributo diretto è costituito da quegli apporti economici che il genitore non collocatario dà al figlio nei momenti di permanenza presso di lui.
Per cui se sta con lui in un orario che copre il pranzo o la cena, ovviamente, si deve far carico di queste esigenze del figlio.
Così come si dovrà occupare di tutte le esigenze ordinarie del figlio nel lasso temporale in cui è con lui. Come per esempio le spese ludiche, gli accompagnamenti etc.
L’impegno economico che ne è conseguenza, su base mensile e quindi anche annuale, ha un sicuro rilievo.
Quindi è anche logico che negli anni la Cassazione sia intervenuta sancendo che l’assegno di mantenimento perequativo (ovvero indiretto) possa essere calmierato in considerazione della maggiore presenza del genitore non collocatario nella vita dei figli.
Quindi, se un genitore passa molto tempo con il figlio e in qualche modo sgrava l’altro, sia in termini di maggiore tempo libero a disposizione sia in termini di costi alimentari e non, è ovvio che l’assegno di mantenimento mensile indiretto debba essere stabilito in una misura ridotta.
Un genitore, poi, che aumenta significativamente i tempi di frequentazione con i figli può certo certo chiedere una riduzione dell’assegno fino anche ad un annullamento dello stesso.
Perché ci sono ipotesi in cui collocamenti alternati di minori presso l’uno e l’altro genitore, con una divisione paritetica dei tempi di permanenza durante la settimana, comportano un azzeramento dell’assegno di mantenimento ordinario e la contribuzione dei genitori per capitoli di spesa (metà delle spese straordinarie ma anche metà delle spese ordinarie come il vestiario, per esempio).
I Tribunali, tuttavia, sono sempre restii ad omologare accordi od emettere provvedimenti giudiziali senza la presenza di un assegno perequativo sia pure simbolico.
Sebbene numerosi accordi di separazione o divorzio, anche a mezzo di negoziazione assistita, siano stati autorizzati alla sola presenza di contributi diretti al mantenimento e divisione per capitoli di spesa.
Di norma tuttavia, considerando che il domicilio preferenziale deve essere sempre presso uno dei due genitori, l’assegno mensile rimane.
Anche se su questo principio la scrivente non è perfettamente d’accordo perché se i tempi di permanenza sono paritetici altrettanto paritetici dovrebbero essere gli impegni economici.
Semmai si dovrebbe riconoscere un assegno perequativo secondo un altro criterio di riferimento cioè la proporzionalità tra i redditi.
Ovviamente, se il reddito di un genitore è più alto di quello del collocatario prevalente, è equo che debba essere previsto un assegno perequativo per la prole che vada a compensare la sproporzione.
In quanto il genitore più ricco può e deve offrire di più ai figli.
La sentenza in questione è condivisibile perché ovviamente non si può fare affidamento su un apporto diretto (tempi di permanenza) ed indiretto (sovvenzionamento economico) da parte di terzi soggetti (nel caso di specie i nonni ma potrebbe anche trattarsi di altro parente o terzo che ha con i minori significativi rapporti) che può da un momento all’altro venire meno.
Però bisogna anche verificare e prestare attenzione a cosa si intende per apporto aleatorio.
Se questo impegno economico dura da anni ed è serio e importante e ci si può fare affidamento perché non ridurre l’assegno di mantenimento se l’altro genitore viene sgravato in maniera notevole?
Se poi questo contributo in qualsiasi momento dovesse venir meno, è ovvio ed è logico che l’assegno dovrà tornera nella vecchia misura.
I provvedimenti sono sempre emessi considerando la situazione attuale e sono sempre suscettibili di modifica in caso di fatti nuovi.
Sul punto farei un ragionamento per analogia.
Abbiamo visto nei nostri Tribunali che spesso i nonni sono coinvolti nelle procedure familiari anche perché ospitano a casa i propri figli separandi o perché hanno dei patrimoni tali da incidere sullo stato di benessere dei medesimi.
Allora perché non considerare di pregio giuridico il loro contributo sia in positivo sia in negativo?
Ovvero, se l’Autorità giudiziaria tiene conto della circostanza che un genitore torna a vivere a casa dei genitori e non ha quindi spese di alloggio e per ciò solo dispone un assegno di mantenimento più alto per i figli perché, al contrario, non riduce questo assegno nel momento in cui i genitori, i nonni, forniscono dei contributi economici importanti?
E non si parla delle consuete regalie ma di contributi più sostanziosi, fissi e di rilevanza per il minore.
Nella nostra Italia i nonni, non dimentichiamolo, sono una risorsa preziosa.
Senza di loro tanti single di ritorno (termine con il quale di solito si definisce il figlio che torna a casa e non è certo bamboccione), alla sofferenza per la fine del matrimonio, unirebbero la sofferenza per l’impoverimento inevitabile che dai processi di separazione deriva.
Senza di loro tanti nipoti perderebbero del tutto la serenità strappata loro dalla separazione dei genitori!
Cinzia Petitti è avvocata e direttrice della rivista www.Diritto§Famiglia.it