Una sentenza del Tribunale di Lecce potrebbe fare da apripista a possibili ricorsi per chi si è visto sospendere la patente dopo essere stato trovato alla guida di un mezzo in stato di ebrezza e sotto sostanze stupefacenti o psicotrope.
Negli anni molti automobilisti hanno fatto ricorso alla giustizia quando si son visti prima ritirare e poi sospendere la patente di guida, contestando di aver mai bevuto un drink o assunto droghe prima di mettersi al volante.
Stando a quanto sostenuto da una recente sentenza, ai giudici civili è demandato il controllo di legittimità degli atti di accertamento effettuati dalla polizia stradale, cui seguono i provvedimenti prefettizi di sospensione della patente di guida.
Andrebbe accertata, dunque, la validità di questi atti irripetibili eseguiti con alcoltest o drugtest non sempre in condizioni di totale garanzia di correttezza degli esiti così come i provvedimenti del Prefetto non sarebbero esenti da controllo sulla sussistenza dei presupposti, con la Prefettura che potrebbe essere chiamata a fornire la prova della condotta di guida anomala o di alcuna condizione che possa costituire “alterazione”, a dimostrare la sussistenza dei presupposti, compreso quello indispensabile degli indici sintomatici di una guida anomala che giustificano l’adozione del provvedimento di sospensione.
La sentenza n. 3031/2022, emessa dal giudice Viviana Mele, afferma che “non si tratta di accertare se sia stato commesso il reato di guida sotto l’influenza di alcool o droghe (artt. 186 e 187 C.d.S.) e che, dal momento che la sospensione della patente di guida è misura cautelare connessa alla sussistenza del reato, è in facoltà del giudice civile accertare la legittimità della procedura seguita per il compimento di atti irripetibili, dovendo diversamente ritenere travolta anche la misura cautelare. Sussiste dunque la competenza del Giudice a conoscere della legittimità del provvedimento prefettizio, non essendo corretto ritenere che lo stesso, quale atto dovuto, vada esente da controllo sulla sussistenza dei presupposti che ne hanno consentito l’adozione”.
«Tutto nasce – racconta Giovanni D’Agata – dalla decisione del giudice di pace che aveva rigettato il ricorso di una ragazza a cui era stata sospesa la patente per guida in stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti, il giudice aveva ritenuto che il provvedimento del Prefetto fosse atto dovuto, non sindacabile. Salvo poi sottolineato come nel caso di specie, la Prefettura avesse omesso la produzione di documentazione inerente agli accertamenti svolti e la sola documentazione in atti riguardasse il ricovero della giovane al Pronto Soccorso, senza neppure i risultati delle analisi di laboratorio».