Se vale l’antico brocardo “nomina sunt consequentia rerum”, allora il governo Meloni nasce sotto l’insegna del più marcato sovranismo, o meglio sarebbe dire nazionalismo economico.
Tre ministeri si richiamano, nella loro denominazione, a concetti di sicurezza e di supremazia nazionale: Imprese e Made in Italy, Ambiente e Sicurezza energetica, Agricoltura e Sovranità alimentare. Anche se non esplicitamente denominati, altri cinque ministeri affidati a noti esponenti di Fratelli d’Italia o di area, condividono la stessa finalità politica e sono: il Ministero del Mare e del Sud, l’importante Ministero della Difesa, quello del Turismo, alla Santanché, quello della Cultura e quello per gli Affari europei, Politiche di coesione e Pnrr.
Segneranno davvero queste scelte una svolta nazionalista nella politica economica italiana, soprattutto nei confronti dell’Europa? Il discorso della neo-presidente del Consiglio chiarirà, tra pochi giorni, la posizione di questo governo su temi centrali come l’autonomia energetica, la recessione, la politica industriale, i rapporti con l’Europa, il ruolo nel conflitto russo-ucraino.
Possiamo per il momento solo dire che se ai nomi seguiranno fatti e scelte politiche concrete, la rottura con l’attuale establishment dell’Unione europea sarà inevitabile e aprirà contraddizione anche all’interno della maggioranza di governo, soprattutto con la componente di Forza Italia che, come è noto, è parte integrante della maggioranza a sostegno di Ursula von der Leyen.
Un primo elemento di frizione sarà la gestione del Pnrr del quale si chiede una revisione «in funzione delle mutate condizioni di necessità e priorità» ed è chiaro che l’obiettivo sarà quello di indirizzare le risorse innanzitutto verso il settore energetico. Un obiettivo che per essere realizzato richiederà un negoziato non facile con la Commissione europea. Altri elementi di attrito saranno la tutela del Made in Italy in sede di politica industriale e agricola e il raggiungimento dell’autosufficienza energetica. Sono tutti obiettivi che mettono radicalmente in discussione l’assetto del compromesso europeo, per non parlare di ciò che cova sotto la cenere, e cioè il sempre vivo rancore, ampiamente diffuso tra leghisti e meloniani, per la perdita della sovranità monetaria. Una politica industriale diretta alla salvaguardia delle produzioni nazionali si scontrerebbe immediatamente con la normativa sugli aiuti di Stato e scatenerebbe reazioni da parte di altri Paesi europei.
Altra questione delicata la gestione delle risorse marine, affidata ad un ministero specifico, che lascia presumere un conflitto con i Paesi vicini, soprattutto la Francia e la Tunisia, per la definizione dei confini marittimi e la delimitazione delle zone di pesca, ed è noto che i dirigenti di Fratelli d’Italia hanno più volte protestato sulla presunta cessione di tratti di mare al vicino francese, contestando il Trattato del Quirinale, siglato da Draghi e Macron nel novembre del 2021 (approvato da Forza Italia). La questione mare non è secondaria, non solo per lo sfruttamento delle risorse alimentari, ma anche per il perseguimento dell’obiettivo dell’autonomia energetica, in quanto giacciono nei fondali italiani oltre 90 miliardi di metri cubi di metano a basso costo di estrazione.
Altro tema di scontro sarà la revisione della Politica agricola comunitaria che assorbe circa il 39% del bilancio dell’Unione europea. L’Italia si colloca al quarto posto in Ue per volume di contributi ricevuti con la Pac (35 miliardi di euro), circa 8,8% del budget complessivo per il periodo 2023-27, registrando una diminuzione di contribute dell’1,6% rispetto al periodo precedente. Nel 2021 il settore agricolo ha peggiorato di circa un miliardo di euro il proprio disavanzo, che ha raggiunto il valore di 8,5 miliardi di euro e su questo fronte dell’autosufficienza bisognerà fare molto.
Ma il fronte conflittuale che può minare la tenuta di questo governo scaturisce dalle possibili contrapposizioni interne, causate dalla diversa cultura politica. Un Calderoli appare sulla carta radicalmente contrapposto a un Musumeci, così come Salvini alle Infrastrutture può entrare in conflitto con Fitto e lo stesso Musumeci. I conflitti interni non potranno essere assopiti dal generico e ambiguo concetto di interesse nazionale o addirittura evocando l’evanescente idea di Nazione. Se il governo terrà non sarà certo per la nazione, ma perché i diversi interessi sociali che rappresenta troveranno un sostenibile compromesso.
Rosario Patalano è professore di Storia del pensiero economico all’università “Federico II” di Napoli
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