L’esistenza di una convivenza con un nuovo compagno/a o, comunque, la sussistenza di una relazione stabile come incide sul diritto a conservare l’assegno divorzile?
Facciamo il punto della situazione tra vecchie sentenze ed i principi affermati dalla Cassazione a S. Unite n. 32198/2021.
La Cassazione negli anni si è più volte pronunziata, sia in senso restrittivo sia in senso più “soft”, interpretando comunque in maniera estensiva la norma che prevede la perdita dell’assegno solo nel caso di passaggio a nuove nozze del beneficiario.
Diverse sentenze della Suprema Corte hanno disposto la perdita dell’assegno solo in caso di convivenza stabile.
Alcune pronunce si sono spinte ad affermare che non sia sufficiente accertare lo stato di convivenza ma anche che ci sia una contribuzione da parte del convivente alla vita familiare.
Difatti, in questa eventualità l’ex coniuge che percepisce un assegno divorzile perderebbe il diritto secondo questo orientamento.
E per alcuni arresti in via definitiva per altri rimarrebbe in sospeso.
Ovviamente non in automatico perché occorrerà proporre un ricorso di modifica delle condizioni.
In questi anni i Tribunali si sono orientati nel senso che, data la prova della convivenza (perlopiù tramite relazioni investigative, perché difficilmente i nuovi conviventi anche anagraficamente costituiscono un nuovo nucleo familiare), revocavano l’assegno divorzile.
Si era già iniziato ad affacciare il principio secondo il quale anche la semplice sussistenza di una relazione stabile, pur se non sfociata in effettiva e conclamata convivenza, fosse sufficiente per eliminare l’assegno divorzile.
Tanto perché la relazione stabile evidenzierebbe l’intento del beneficiario dell’assegno di chiudere con il matrimonio e creare una nuova stabilità affettiva.
Quindi questa nuova stabilità affettiva confliggerebbe con la permanenza di un assegno divorzile che continua a legarlo al matrimonio.
Il Tribunale di Bari, per esempio, già così si è orientato da tempo ovvero che anche la stabilità degli affetti possa avere come conseguenza l’eliminazione dell’assegno divorzile.
Ed infatti il Tribunale di Bari ha evidenziato che il concetto di convivenza more uxorio non deve essere confuso con la coabitazione e che anche in mancanza di essa si può parlare di stabile relazione con nascita di legami affettivi sentimentali.
Principio affermato di recente dalla Cassazione (n. 14151/2022) che ha colto l’occasione per affrontare i diversi concetti di coabitazione e convivenza more uxorio richiamando la legge n. 76/2016 definisce conviventi di fatto «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».
Orientamento che si condivide ma da pensare perché ovviamente ci sono pro e contro da valutare.
La stabilità affettiva non necessariamente comporta una convivenza, giusto, e quindi non sempre comporta una contribuzione economica del soggetto con cui si instaura la relazione.
Quindi, il soggetto debole vede togliersi un assegno divorzile solo per il fatto che si rifà un affetto. Questo lo mette in difficoltà perchè potrebbe anche indurlo ad astenersi dall’intraprendere una nuova relazione per timore di perdere un assegno che percepisce per effettiva necessità.
Magari la nuova relazione stabile non l’aiuta economicamente e al contempo non ha possibilità lavorative.
Per cui l’assegno divorzile diviene di primaria importanza.
Per un verso i principi sono giusti perché rendite parassitarie non sono giustificabili.
Ma per altro verso ci troviamo nella situazione ex coniugi che, per paura di perdere quello che per loro può essere di sostentamento, evitano di rifarsi una vita. E’ ovvio che ogni caso è a se stante.
La Corte di Cassazione poi a Sezioni Unite, con la sentenza del 5 novembre 2021 n. 32198 torna nuovamente sull’argomento elaborando un principio più articolato.
“L’instaurazione della convivenza non comporta l’automatica perdita del diritto all’assegno.
La convivenza fa venire meno la funzione assistenziale dell’assegno ma non quella compensativa. Il nuovo legame, sotto il profilo della tutela assistenziale, si sostituisce al precedente ma non alla seconda” funzione.
La funzione compensativa riconosce il contributo fornito dal coniuge più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge.
Quindi non sarebbe giusto che il coniuge che ha sacrificato la propria vita (realizzazione professionale e lavorativa) per anni, la durata del matrimonio, si veda poi revocare l’assegno perché un altro provvede alle sue esigenze di vita.
I sacrifici pregressi rimangono e la nuova strada di felicità percorsa non dovrebbe fare venire dimenticare economicamente il passato.
Non è semplice nella pratica poi trovare una applicazione uniforme a tale principio occorre valutare caso per caso ed anche comprendere come fare, una volta compreso che l’assegno è stato riconosciuto sia per l’aspetto assistenziale sia per quello compensativo, a dividere lo stesso decurtandolo a questo punto della parte c.s. assistenziale.
Al momento dell’attribuzione dell’assegno non viene fatto un calcolo matematico con distinzione di quanto corrisposto a titolo assistenziale e quanto a titolo contributivo.
Saranno quindi sempre i nostri Giudici a seconda dei casi concreti adottare le decisioni più eque.
Cinzia Petitti è avvocata e direttrice della rivista www.Diritto§Famiglia.it