Il 3 per cento degli italiani (quasi 2 milioni di persone) ha usato i propri risparmi per investire in Bitcoin. Lo scrive Consob nel suo ultimo rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane. Secondo altri fonti sarebbero in realtà molti di più i connazionali che hanno un wallet (i.e. un portafoglio elettronico) con all’interno non solo criptovalute ma anche non fungibile token (Nft).
In assenza di chiare norme sugli obblighi fiscali connessi alla loro detenzione pare che molta di questa ricchezza digitale non sia stata dichiarata al fisco mediante la compilazione del quadro RW, lo stesso che va dichiarato da chi detiene un conto corrente o una gestione all’estero.
Trattasi di un adempimento dichiarativo utile ai fini del monitoraggio delle attività detenute all’estero e della eventuale imposizione ai fini delle imposte sui redditi in Italia e dalla cui mancata osservanza discendono sanzioni amministrative.
In passato, per situazioni simili, tale omissione è stata sanata con il pagamento di una sanzione molto contenuta (così è stato con gli scudi fiscali e con la voluntary disclosore poi).
L’estensione della ipotizzata procedura di emersione del contante anche alle criptovalute avrebbe l’effetto di portare alla luce una ricchezza oggi sconosciuta al fisco italiano e soprattutto il suo assoggettamento alle diverse forme di tassazione previste per tali attività; se poi si volesse, come già avviene per gli strumenti finanziari, prevedere che in tal caso che la tassazione possa essere delegata ad un sostituto d’imposta (tipicamente la società fiduciaria italiana) il Governo non dovrà che confermare quello che già da tempo il mercato ha capito ovvero che le criptovalute rappresentano forme di investimento.
Per quanto riguarda invece il contante, l’ipotizzata soluzione di prevedere che una parte consistente di quanto emerso debba rimanere reinvestito nella cosiddetta economia reale si ritiene di poter individuare nei piani di investimento di risparmio (Pir) favorendo così anche la realizzazione di un altro punto del programma di governo del centro destra e consentendo anche di avere, come per tutti coloro che utilizzano il Pir, significativi incentivi fiscali che compenserebbe, in tutto o in parte, l’onere di dover tenere bloccati per cinque anni i risparmi oggetti dell’emersione. Anche in tal caso l’utilizzo della società fiduciaria per amministrare il Pir consentirebbe di assicurare allo Stato sia il versamento delle imposte dovute sia il mantenimento degli investimenti per i cinque anni previsti.
Ma cos’è un Pir? E’, in buona sostanza, un “contenitore” fiscale tramite il quale è possibile investire in una molteplicità di strumenti finanziari (cosiddetto Pir alternativo “fai-da-te”), beneficiando della completa esenzione dalle imposte sui redditi (26 per cento su dividendi/interessi/capital gain/proventi Oicr) e dall’imposta di successione.
Fabrizio Vedana è amministratore Across Family Advisors