Le statistiche sulle dichiarazioni fiscali delle imprese confermano la presenza di ingenti perdite da parte delle società che negli ultimi anni hanno chiuso i lori bilanci in negativo. Una questione aperta da tempo la cui discussione è stata “sospesa” durante la pandemia ma che adesso porta un conto salato a tutto il sistema economico.
Elbano de Nuccio, presidente dell’ordine dei commercialisti di Bari e professore straordinario di economia aziendale alla Lum, analizza la situazione e ipotizza ”vie di uscita” concrete da questa complicata situazione.
Presidente, cosa sta succedendo al sistema delle imprese in Italia?
«I dati che riguardano le chiusure dei bilanci rilevano che a livello nazionale le imprese in perdita erano 323mila già prima della pandemia. Purtroppo la situazione della regione Puglia da questo punto di vista è allarmante così come quella nazionale».
Quali sono state le dinamiche che hanno, in maniera determinante, compromesso l’economia?
«Bisogna considera che l’economia pugliese non è stabile ma presenta oscillazioni causate dal fatto che il settore trainante regionale è il turismo. Ci sono, infatti, momenti di picco reddituale che si alternano ad altri di stagnazione».
Come possiamo definire il saldo tra le nuove aperture di imprese e le chiusure?
«La Puglia non è tra le regioni che gode della situazione migliore anche perché eravamo già in una situazione di sofferenza prima della pandemia. Oggi il saldo è senza dubbio negativo, ma c’è anche un altro aspetto da considerare: esiste anche un saldo negativo in termini psicologici».
Cosa significa?
«C’è un naturale freno del consumatore nei confronti degli investimenti. È evidente che se c’è un rallentamento del consumo non può esserci una ripresa economica».
Si parla tanto di applicazione di carry back. Cosa ne pensa?
«È una procedura di difficile applicazione al nostro sistema tributario».
Perché?
«Ci permette di imputare le perdite anche ai periodi aziendali precedenti all’anno in esame, calcolando l’imposta pagata in passato e ottenendone la restituzione o sotto forma di credito o di un vero e proprio rimborso. Attivare un simile processo sarebbe sicuramente un passo avanti rispetto all’attuale principio, vigente in Italia, della compensabilità esclusivamente futura delle perdite fiscali, ma richiede dei presupposti che non abbiamo nel nostro ordinamento. È un sistema che può andare bene per i sistemi tributari molto semplici e schematici come quello americano, dove per altro è applicato già dal 2017 come strumento temporaneo per gestire situazioni di crisi».
Quali altre soluzioni si potrebbero mettere in campo per aiutare le imprese?
«Per essere chiari: mentre gli interventi sul piano emergenziale hanno avuto la funzione di intraprendere azioni che hanno avuto effetti di temporaneo sollievo, oggi si devono creare le condizioni economiche affinché le aziende possano autonomamente creare profitti. È importante essere consapevoli che come Stato non abbiamo una capacità di spesa infinita e, quindi, non si può pensare di continuare a sostenere le imprese attraverso contributi a pioggia. Gli interventi devono essere strutturali».
Da dove iniziare?
«È importante creare un contesto fiscale ed economico che agevoli le imprese. Oggi ad esempio la riforma fiscale non rappresenta un fattore di successo del sistema economico ma un fattore di sopravvivenza per il sistema stesso. Non dobbiamo abbattere l’imposizione fiscale per essere più competitivi nei mercati internazionali ma quantomeno per permetterci di essere presenti. A questo punto è una necessità».
Quando potremo considerarci fuori da questa crisi?
«Difficilissimo da dire. Ci sono troppe incognite. Purtroppo questo è un momento di stagnazione globale, nessuna azienda è al sicuro. Preoccupa il fatto che non esista un effetto compensativo del mercato».