Nato a Bari, cinquantadue anni, sorridente, entusiasta e con un innato temperamento da manager. Gianpiero Lorusso oggi vive e lavora in Svizzera per il gruppo Merck, l’azienda farmaceutica leader in ambito scientifico e tecnologico. La sua figura è ben precisa: è a capo della logistica e gestisce quel “flusso” che parte dal network dei fornitori del gruppo e arriva poi a tutti gli stabilimenti di produzione; una ventina nel mondo. Facciamo un passo indietro e scopriamo come il pugliese Gianpiero si sia lanciato nell’universo di una “economia” così rilevante e d’avanguardia, nota ovunque e con una sede d’eccellenza anche qui a Modugno, nella zona industriale.
Entriamo nella sua vita e non in punta di piedi: come è arrivato a questo prestigioso risultato? Quale il suo percorso di vita e di studio?
«Parto dal presupposto che c’è sempre da imparare e che nella vita bisogna riconoscere e cogliere con coraggio le varie opportunità che si incontrano. Sono cresciuto a Bari, mi sono laureato in Economia e commercio e non sono mai stato fermo».
Nel senso che ha viaggiato mentre studiava?
«Si, ho sempre avuto la passione per le lingue e soprattutto per culture diverse e negli anni ‘90, quando ho intrapreso il progetto Erasmus, sono andato in Germania, di certo non la meta più ambita in quegli anni. Mi sono adattato nel migliore dei modi e, insieme alla lingua tedesca ho assimilato anche una nuova apertura mentale; un valore aggiunto indispensabile».
Parla quindi in modo fluido il tedesco insieme a quali altre lingue?
«L’inglese e il francese. Dopo i miei studi in Germania ho colto una di quelle occasioni di cui accennavo; grazie ad un amico sono partito per gli Stati Uniti e lì ho studiato per management. Avevo le idee ben chiare, non volevo intraprendere la libera professione e la figura del commercialista mi sembrava già preconfezionata».
E dopo la parentesi americana come è riuscito a farsi strada in questo settore così qualificato?
«Non era facile. Sono tornato in Germania per un programma di ricerca postlaurea in “Scienza delle finanze”, nell’ambito della finanza pubblica per capirci. Ed è qui che ho messo a frutto il bagaglio della mia formazione culturale: ho creato un contatto tra l’Università di Berlino e quella di Bari, in una proficua collaborazione tra nazioni diverse. Un dialogo tra le materie giuridiche e quelle di economia. Così nel ‘97 sono entrato nell’azienda della Natuzzi, a Santeramo, una realtà con un’impronta internazionale».
Lei mi fa pensare che per inserirsi e progredire in questo genere di attività sia indispensabile una formazione su base estera?
«Vorrei che il messaggio fosse quello di spaziare e di mettersi in gioco senza limiti di confini. Sentirsi per esempio europei non è solo una definizione. Ho forti radici in Puglia, la trovo davvero bella ma mi sento anche ambasciatore della mia cultura; sono attratto dalla internazionalizzazione e insieme sono orgoglioso delle mie origini».
Dicevamo dell’esperienza della Natuzzi. Come mai è passato poi al settore farmaceutico con il trasferimento in Svizzera?
«Sempre per quello spirito di crescita senza barriere e per una visione di cittadino del mondo. Ho lavorato per due anni a Bari, per la “Serono”, poi acquisita dalla “Merck” e dopo un periodo a Roma son sbarcato qui, vicino Ginevra».
Ginevra, è la bella città della Svizzera con la sua vista spettacolare sul Monte Bianco ed è anche il nome di sua figlia adolescente, vero?
«Si, mi son trasferito con la mia famiglia; abito qui da quattro anni, con mia moglie, barese anche lei, e la piccola; viviamo in un paese tra Losanna e Ginevra, in un clima di grande civiltà. Ogni luogo ha diversità che possono tramutarsi in agiatezza e benessere».
E a proposito dell’Europa, il sud resta forse indietro? Quali le differenze?
«Al sud si è in tanti, si studia molto, più che in altri paesi. Ci sono tantissimi laureati e spesso non si trovano sbocchi lavorativi proprio per l’alta percentuale con il titolo professionale; in Svizzera c’è occupazione e c’è chi sceglie di impegnarsi da subito senza laurearsi. Non si accede al lavoro solo per titoli di studio».
Quindi in Svizzera la laurea non è una condizione indispensabile per trovare occupazione? Che cosa conta?
«Lo studio e la formazione sono importanti ma la differenza la fa sempre il fattore umano. È il singolo, nella sua specificità, ad esprimere il vero bagaglio, inteso come contenuto umano. Il contesto a volte non guarda a questo “capitale” e non coglie potenzialità nascoste. Più dei titoli determinante è la persona con le sue risorse e le sue capacità». E a proposito di capacità, il talentuoso Gianpiero ha, tra l’altro, inventato e lanciato sul mercato “SlimPack”, un progetto che mira alla presentazione di un prodotto eliminando la plastica dalla confezione.
Un consiglio alle nuove generazioni?
«Uscire dalla propria zona di comfort e guardare al futuro con entusiasmo».