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Tumori: “Non chiamateci guerriere”, vita di donne con cancro seno avanzato

(Adnkronos) - "No, non chiamateci guerriere. Siamo donne che affrontano il dolore. E questa non è una battaglia, è un percorso in cui ognuna deve trovare il proprio equilibrio anche grazie al supporto di chi ha accanto". Rifiutano l'etichetta di combattente le donne con tumore al seno avanzato. "C'è un dolore che spacca la vita,…

(Adnkronos) – “No, non chiamateci guerriere. Siamo donne che affrontano il dolore. E questa non è una battaglia, è un percorso in cui ognuna deve trovare il proprio equilibrio anche grazie al supporto di chi ha accanto”. Rifiutano l’etichetta di combattente le donne con tumore al seno avanzato. “C’è un dolore che spacca la vita, i sentimenti, la quotidianità. Si affronta con forza, ma con alti e bassi – racconta Anna Maria Mancuso, presidente dell’associazione Salute Donna Onlus – E si piange anche, mentre le guerriere non cedono mai. Affrontare il dolore significa anche questo: condividerlo e camminare insieme sulla stessa strada”. Sono circa 37mila in Italia. Quello che le donne con tumore al seno avanzato non dicono – chi sono, cosa sentono, cosa sognano e come vivono – è stato messo nero su bianco in 10 semplici ‘Note di vita’, presentate oggi durante un incontro a Milano, in vista della Giornata nazionale del tumore al seno metastatico (13 ottobre). 

“Non un vademecum, è un regalo per affrontare meglio alcuni momenti difficili che tutti noi incontriamo”, puntualizzano le anime dell’iniziativa che viene proposta come uno strumento pratico, nato dalla campagna promossa da Novartis Italia con Salute Donna Onlus, ‘E’ tempo di vita’. E’ una finestra sul mondo di queste donne, per capire in profondità stati d’animo, pensieri, emozioni di chi convive con una diagnosi del genere. Quello che per loro è importante davvero. Primo punto: stop alla retorica della ‘paziente-soldato’. Non si tratta né di vincere né di sconfiggere il tumore, ma di camminare, di vivere con la malattia, e vivere il presente in maniera più intensa. C’è il valore del silenzio e il valore terapeutico del tempo, che deve essere “di qualità”, assicurano gli stessi specialisti. Le Note di vita accendono un faro per guidare chi intreccia il suo cammino con quello di una donna con tumore al seno in stadio avanzato. Per aiutarli a capire quali parole e gesti sono di aiuto e quali invece no. 

E per capire basta guardare dentro i numeri e le statistiche, e porsi una domanda: chi sono le donne con tumore al seno avanzato? “L’età media di una diagnosi di tumore al seno metastatico arriva a 54 anni – racconta Chiara Gnocchi, Head of Country Communications and Patient Engagement di Novartis Italia – Il 30% delle donne con tumore al seno metastatico ha meno di 45 anni. Sono donne attive, con una vita lavorativa e familiare, una vita di relazioni a cui non accettano di rinunciare. Sono sposate, la maggior parte ha un figlio non ancora maggiorenne. La ricerca ha concesso in questi ultimi anni di dare loro tempo di vita, di poter dare e avere una prospettiva. Io ho imparato dalle pazienti che la malattia cambia la vita, ma allo stesso tempo dà la forza per affrontarla. Ho imparato che loro non sono la malattia ed esigono di non esserlo. Sono persone e in queste persone c’è la sessualità con il proprio compagno, il desiderio di un figlio con il tema della preservazione della fertilità, c’è l’alimentazione, il fitness e tanti altri aspetti. Si ridà priorità alle cose importanti”.  

Note di vita è ispirato dai pensieri e dalle esperienze delle pazienti di Salute Donna Onlus. Si indagano gli aspetti trascurati nell’interiorità di una donna con tumore al seno avanzato. Oltre a questo strumento che verrà diffuso e reso disponibile attraverso vari canali, il 13 ottobre sarà inoltre pubblicato sulle pagine social di E’ tempo di vita il quinto e ultimo appuntamento della ‘Life Academy’, una sorta di ‘salotto’ in cui ci si confronta guidati dalle parole di esperti proprio su aspetti di vita e dell’io profondo di chi convive con la malattia avanzata. A fare da ‘cicerone’ in questo viaggio è Stefania Andreoli, psicoterapeuta e consulente scientifica del progetto che esplora le diverse fasi della malattia, dal cambiamento all’accettazione, e affronta temi come l’intimità e l’importanza della figura del caregiver. Dietro c’è l’ascolto della community di E’ tempo di vita, che conta oltre 56mila utenti tra Facebook e Instagram. “Nel salotto della Life Academy – racconta Andreoli – il parere oncologico incontra la scrittura e la mindfulness”. 

Anche le Note di vita nascono dall’ascolto. “Sono come degli appunti che raccogliamo dalle pazienti. Vanno invertiti i ruoli, perché sono loro che hanno da insegnarci e da dirci qualcosa – prosegue Andreoli – E in effetti ci spiegano come questa narrazione della battaglia, della guerra, dell’essere soldatesse della vita, della malattia e della guarigione, sia in realtà una stortura, di molto fuori fuoco. Facciamoci caso: chi dovesse avere un esito infausto della malattia quindi non è stata abbastanza strenua nei suoi tentativi?”. E’ un discorso dunque anche “pericoloso. Potevamo arrivarci da soli, ma hanno avuto bisogno di dircelo le pazienti stesse. E mi colpisce una di queste note, in particolare: a volte, c’è scritto, il silenzio è di supporto più del chiedere continuamente come stai. Chi è portatore di malattia a volte viene messo nella posizione di doversi fare carico delle ansie e angosce di chi ha intorno. Il silenzio credo sia ingiustamente sottovalutato, invece è profondamente comunicativo. Esistono dei silenzi pienissimi e rivelatori”. 

Ripartire dall’autenticità, è uno dei messaggi. Ma c’è anche la speranza “fra le parole che pesano”, fa notare Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di oncologia senologica e toraco-polmonare all’Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli. “Io sarei ottimista ed è un messaggio che mi sento di dare alle donne col tumore al seno metastatico: in poco tempo abbiamo visto una rivoluzione completa della nostra capacità di gestire questa malattia – rimarca – Circa 10-15 anni fa l’aspettativa di vita era a una mediana di circa 2 anni. Oggi supera i 5 anni. Può sembrare poco, ma non lo è: vuol dire che metà delle nostre donne vivranno di più, anche 7-10 anni e non lo sappiamo nemmeno se ancora più a lungo di così, visto che i nuovi farmaci sono ‘in azione’ da pochi anni. Significa essere in grado di bloccare la malattia, cronicizzarla mantenendo la qualità di vita”.  

In questo modo, evidenzia l’oncologo, guadagniamo tempo, e questo permetterà alle donne di avere accesso ai tanti nuovi farmaci rivoluzionari già all’orizzonte, che arriveranno in questo periodo. E poi, perché no, magari nel giro di massimo 20 anni – prospetta – potremmo riuscire a guarire anche il tumore al seno metastatico. Io ci credo”. De Laurentiis porta il punto di vista del camice bianco e spiega il valore dell’alleanza con il paziente, lanciando un ultimo messaggio anche alla classe medica: “A volte si tende a credere che l’alleanza funzioni quando c’è il medico amico, non è necessariamente così – riflette – L’ascolto deve essere empatico, nel rispetto della professionalità e dei ruoli differenti. Ma comprendere le reali necessità di quella singola persona ammalata che abbiamo di fronte è secondo me metà del percorso per ottenere un successo terapeutico. Fare il medico è soprattutto questo”.  

Purtroppo, aggiunge, “devo ammettere che ci sono delle carenze su questo fronte. Ci sono medici straordinari che si pongono con eccessivo tecnicismo di fronte alle persone di cui dovrebbero farsi carico a 360 gradi. Magari non le guardano negli occhi, danno freddamente informazioni sulla malattia. Credo serva un cambio culturale fondamentale da parte dei medici, faccio un ‘mea culpa’. Dobbiamo fortemente procedere verso questo nuovo tipo di rapporto medico-paziente, in oncologia è un passo fondamentale: imparare ad ascoltare i bisogni della donna seduta davanti a noi. Bisogni che non sono mai uguali, ogni persona è diversa anche se ha lo stesso tipo di malattia e fa la stessa terapia. La gestione di questo rapporto richiede una grandissima volontà di mettersi in gioco da parte del medico”. 

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