Manca poco alla raccolta delle olive, un rituale oramai svanito in Salento a causa Xylella. Sono davvero poche le famiglie e gli imprenditori che continuano ad investire nel settore olivicolo e pochi gli alberi che producono olio.
In questi anni diversi frantoi hanno definitivamente chiuso i battenti in Salento, quelli aperti tentano di sopravvivere di anno in anno, ma questa sarà una annata ancora più amara se si considera che l’impresa potrebbe non valere la resa con l’aumento dei costi di energia.
Gli aiuti, anche in questo settore, sono con il contagocce e non bastano a rinsaldare i bilanci delle aziende. «Dall’arrivo della Xylella, – racconta Marco Passaseo, dell’Oleificio San Marco di Torrepaduli – il trend non è più cambiato se non per piccole irrilevanti isole verdi. Oggi manca il 95% della produzione rispetto all’ultima campagna olearia del 2015. Di questo 5% rimasto, quest’anno vivremo un’annata al 30%. La produzione dell’olivo, si sa, è altalenante. Veniamo da un 2021 che è stato un anno di carica, quindi per questa stagione è attesa una forte flessione. Con questi numeri e col caro energia, il rischio concreto è di andare in perdita. La molitura, che prima costava tra i 10 ed i 12 euro, adesso arriva a costare fino a 30 euro al quintale».
Fare impresa per frantoiani oleari è davvero difficile, così come è «difficile salvare qualcuno dall’analisi di responsabilità. Forse solo la scienza, tra le parti in causa, ha colpe relative. La politica – conclude Passaseo – ha mancato in sostegno (le pratiche di reimpianto con la Regione sono decollate solo nel 2019) e tempismo (la perdita di tempo è pesata più di ogni altra cosa)». Nel futuro di Marco c’è solo una parola: game over. In Salento potrebbe scomparire l’economia dell’olio. Soprattutto in un territorio caratterizzato da agricoltori hobbisti e che oggi, giocoforza, hanno abbandonato, anche a causa dei giovani che si sono allontanati dall’agricoltura, spaventati, forse, dalla disperazione percepita dai genitori.
Critico anche Giovanni Melcarne, storico imprenditore di Gagliano del Capo, e tra i primi ad aver sperimentato le tecniche di reimpianto. «È ancora presto per raccogliere il frutto dei reimpianti ed a tutto ciò si aggiunge il costo crescente della produzione. Gli impianti per la molitura sono energivori ed all’aumento della spesa non corrisponde un pari aumento dei prezzi. Per questo i ricavi continuano a calare. È una situazione simile a quella che si sta verificando nella produzione del grano». Ma Giovanni è fiducioso nel futuro, «le nuove cultivar permettono un miglioramento genetico e ci consentono di aumentare la biodiversità: è un modo per frazionare il rischio».