«Ormai un soggetto politico di sinistra non esiste più. Ecco perché bisogna ricominciare daccapo. Possibilmente non dai nomi e dai cognomi, ma dalla visione della società, dalle strategie, dai programmi»: è un’analisi impietosa quella che Fausto Bertinotti, storico segretario di Rifondazione comunista e presidente della Camera dal 2006 al 2008, fa del risultato elettorale ottenuto dal Partito democratico e dai suoi alleati.
Presidente, il Pd e le altre forze di sinistra sono le grandi sconfitte di quest’ultima tornata elettorale: chi è il responsabile della disfatta?
«La sinistra è uscita sconfitta dalle urne semplicemente perché non è esistita. E, del resto, questo vuoto non data da oggi. Negli ultimi anni quella che era la sinistra politica ha subito una metamorfosi nell’ambito della quale il Pd è diventato un partito liberale. Le elezioni hanno segnato la fine del centrosinistra di marca prodiana, ma la sinistra era già morta prima».
Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, propone di smantellare il sistema sul quale si fonda il Pd: è la strada giusta?
«La mia opinione è molto più radicale: il Pd si è suicidato quando ha smesso di essere una forza capace di proporre un’alternativa di società e un “lievito” del conflitto sociale contro una restaurazione che è avvenuta a spese di lavoratori e ceti popolari. Ormai il Pd si è configurato come partito di governo e ha smesso di essere protagonista del conflitto sociale. Così è uscito di scena, nel senso che resiste nel panorama politico ma è completamente separato dalla società. Difatti è stato al governo in tutte le condizioni, sia quando ha vinto le elezioni sia quando le ha perse. Il fulcro di questa metamorfosi è stata proprio l’assunzione della governabilità, anziché la trasformazione della società, a paradigma della propria azione».
Letta ha i giorni contati e per sostituirlo scalpitano i vari Decaro, Bonaccini, Schlein: basta cambiare segretario per risolvere certi problemi?
«Non basta cambiare segretario né la direzione. È la natura del partito che va messa in discussione. Il Pd deve scegliere se tornare a essere una presenza critica di questo tipo di società, in nome di un’alternativa, oppure rimanere un elemento gestore. In questo secondo caso il suo destino è segnato, indipendentemente dalla persona del segretario e dei dirigenti».
La soluzione può essere il campo largo col Movimento Cinque Stelle?
«In mancanza di identità, il Pd sembra l’asino di Buridano, incapace di scegliere tra due fieni: quello dei neocentristi e quello del M5s. Il problema è che il Pd dovrebbe innanzitutto chiarire la propria identità. La politica delle alleanze è insignificante se prima non si chiarisce la propria identità».
In un suo saggio, l’ex ministro Carlo Trigilia sottolinea l’importanza di una sinistra unita per migliorare la qualità della vita e ridurre le disuguaglianze sociali in tutto il Paese: è d’accordo?
«Sinistra unita o divisa, non vuol dire nulla. La sinistra deve innanzitutto chiarire cos’è: anticapitalista? Interna al sistema? Quali classi sociali intende difendere prioritariamente? Quali diritti civili vuole affermare? Quale Programma di società (con la P rigorosamente maiuscola) desidera portare avanti?».
E quindi quale dev’essere questo programma di società?
«La radicale opposizione alla prospettiva di governo delle destre, ormai così vicina, e una critica pratica e teorica al capitalismo del nostro tempo. L’esempio concreto è La France Insoumise di Mélenchon che ha trovato la soluzione alla fine della sinistra politica francese: il Partito socialista francese è scomparso ed è nato quest’altro soggetto fuori dalla cronaca politica precedente che è La France Insoumise».
Il modello del Pd dev’essere Mélenchon?
«Non può esserlo perché per replicare quell’esperienza servono la protesta degli studenti, gli scioperi generali contro la politica sulle pensioni, i gillet jeune e la mobilitazione di Parigi. Il Pd non ha le energie per una simile operazione, non è riformabile, non è attore della rinascita della sinistra. Nemmeno i sindaci del Pd, che fanno benissimo il loro mestiere e sono un punto della resistenza della democrazia in Italia che apprezzo moltissimo, possono farcela».
Come può rinascere la sinistra, allora?
«Per la sinistra è l’anno zero. Bisogna ricominciare daccapo. Non dalle forze esistenti, ma da un nuovo soggetto politico. Basta nomi e cognomi, ragioniamo classicamente su strategie, tattiche e programmi. E immergersi nuovamente nel conflitto sociale anziché rincorrere la governabilità a ogni costo».