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Pane a peso d’oro. Di Serio: «Entro metà 2023 a rischio 5.300 posti di lavoro»

«Il nostro oramai è un vero e proprio mestiere a rischio». È questo l’allarme lanciato dai panificatori italiani. Aziende che vantano una produzione tramandata da generazioni potrebbero non reggere il contraccolpo degli aumenti delle materie prime. Molte sarebbero sul punto di decidere di fermare la produzione. Giovanni Di Serio, vice presidente nazionale Assipan Confcommercio e…

«Il nostro oramai è un vero e proprio mestiere a rischio». È questo l’allarme lanciato dai panificatori italiani. Aziende che vantano una produzione tramandata da generazioni potrebbero non reggere il contraccolpo degli aumenti delle materie prime. Molte sarebbero sul punto di decidere di fermare la produzione. Giovanni Di Serio, vice presidente nazionale Assipan Confcommercio e Presidente Assipan Bari e Bat, lancia l’allarme e presenta alcune proposte per il governo che verrà.

Di Serio, quali sono le maggiori criticità che il settore sta affrontando?

«La situazione attuale riguarda uno scenario allarmante sulle voci di costo, mediamente quadruplicate per gli operatori del settore della panificazione. Non parlo solo di aumento dei prezzi della farina e dell’energia, ma anche dei lieviti, dell’olio, della carta e del cartone per le confezioni, della plastica. Il quadro che ne consegue rischia di produrre effetti devastanti».

Cosa intende dire?

«L’intero comparto prevede un alto numero di mano d’opera. Le prime stime, anche se prudenziali sugli effetti della crisi sul settore, evidenziano che da qui alla metà del 2023, in assenza di aiuti concreti alle imprese e di interventi strutturali sulla situazione della crisi energetica, si rischia di perdere fino a 1.350 imprese. Parlo di aziende che potrebbero chiudere senza essere sostituite da nuove, con una perdita di circa 5.300 posti di lavoro».

Ci sono margini per scongiurare il peggio?

«Dal punto di vista internazionale il fatto che il conflitto russo-ucraino non accenni a concludersi è un serio problema. La situazione politica in Italia, poi, complica tutto. Dovremo aspettare che il nuovo governo sia operativo e sperare che inserisca le nostre istanze tra le priorità. Per fortuna dopo l’allarme che abbiamo lanciato qualche giorno fa, siamo riusciti a farci inserire nel nuovo dl Aiuti tra le imprese energivore, così da usufruire del credito di imposta. Chiaramente non è sufficiente, lo consideriamo un piccolo passo».

Quali sono le iniziative politico- economiche che possono davvero sostenere il settore?

«Sicuramente si può fare qualcosa per rivedere il processo di definizione dei prezzi del gas sul mercato Ttf, ossia l’indice di borsa del gas sul mercato dei Paesi Bassi dal quale sarebbe opportuno sganciarsi. Il prezzo va stabilito dai contratti di fornitura, cioè sulla base dei prezzi all’importazione che sono notevolmente più bassi di quelli del mercato Ttf. Un’altra soluzione sarebbe quella di applicare un tetto massimo per i costi dell’energia come hanno fatto con successo Spagna e Portogallo».

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