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Qualcuno dia ascolto a Francesco

Non avremmo scommesso un euro sulla qualità del dibattito di questa strana campagna elettorale che ci porterà al voto del 25 settembre. Non c’era e non c’è il tempo né il clima giusto per un confronto serio e approfondito. E disporre stavolta di un terzo o quarto polo, con la scelta di Renzi e Calenda, oltre che di Giuseppe Conte, di scendere in lizza per conto proprio, non è servita ad arricchire il confronto sui contenuti, semmai solo a rendere più aspra la polemica. Potevamo quindi aspettarci di tutto, ma non avremmo mai pensato che il confronto di questi giorni molto difficili, si sarebbe ridotto al dilemma dei fondi russi (a quali partiti?) che poi dissolto nello spazio di un mattino. O alla diatriba su una canzone come “Bella Ciao”: è divisiva? non è divisiva? Sui social media come Facebook ferve la disputa.

Viene da domandarsi se i partiti in competizione, e chi li rappresenta in carne e ossa, si rendano conto bene oppure no della febbre alta che infiamma le fibre del Paese reale, il suo tessuto produttivo, una miriade di piccole imprese e milioni di famiglie oggi sull’orlo di una crisi di nervi, per il costo dell’energia che nel giro di un anno risulta moltiplicato per due o per tre, fiaccando ogni prospettiva di sviluppo. Va quindi a merito a Francesco, allora, lo sforzo di ricondurre il dibattito in un alveo più concreto e più rispettoso del disagio profondo degli italiani. Con il coraggio che lo contraddistingue, infatti, il papa ha ripreso da non si sa quale polveroso scaffale il tema del lavoro, mettendolo al centro della pubblica discussione. Al centro del “Che fare?” se si vuole davvero salvare l’Italia dal doppio colpo ricevuto in volto, il combinato di pandemia e guerra in Ucraina.

Il pontefice lo ha fatto nel corso di una assemblea, che non è enfatico definire storica, alla presenza di circa 5mila imprenditori e del presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Papa Francesco ha rimarcato che se è troppo ampia la forbice tra i guadagni dei manager e i salari, tale sperequazione può tradursi in una malattia difficile da curare. Nel corso dell’incontro che si è svolto in Vaticano, ha rivolto l’invito alla platea a selezionare «buoni imprenditori», capaci di essere protagonisti dei grandi cambiamenti della nostra epoca. «Con la vostra creatività e innovazione – queste le sue parole – potete dar vita a un sistema economico diverso, dove la salvaguardia dell’ambiente sia un obiettivo diretto e immediato della vostra azione economica. Senza nuovi imprenditori la terra non reggerà l’impatto del capitalismo, e lasceremo alle prossime generazioni un pianeta troppo ferito, forse invivibile. Quanto fatto finora non basta: aiutiamoci insieme a fare di più». Quindi ha chiarito ulteriormente il suo pensiero circa la qualità delle relazioni industriali da sviluppare per essere al passo con i tempi, ribadendo i concetti chiave del suo discorso, fra i quali «condividere le ricchezze, non evadere le tasse, dare il giusto stipendio ai dipendenti, agevolare le mamme lavoratrici».

Non scontato e non banale, infine, il riferimento del pontefice a un imprenditore del secolo scorso che considerava l’impresa come una realtà spirituale, frutto della condivisione di obiettivi e risultati tra capitale e lavoro. Si tratta di Adriano Olivetti, che per primo (e ultimo?), ricorda il Papa: «Aveva stabilito un limite alla distanza tra stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale». E soprattutto aveva concepito l’impresa come realtà che cresce sulla base del senso di appartenenza a un destino comune, e sulla empatia e solidarietà tra tutti. «Perché se è vero che ogni lavoratore dipende dai suoi imprenditori e dirigenti – spiega ancora Bergoglio – è anche vero che l’imprenditore dipende dai suoi lavoratori, dalla loro creatività, dal loro cuore e dalla loro anima».

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